Il brano è stato ispirato dalla visita che ho fatto oggi al Castello di Cleto. All’idea che mi è tornata in mente all’istante circa gli annunciati interventi che si intendono fare nel Centro Storico, in particolare la costruzione di una strada di accesso alla zona circostante il castello, che non rispetterebbe, a quanto sembra, lo stato dei luoghi, ho immaginato che, proprio a difesa di questi, il simulacro della mitica regina Cleta mi comparisse quasi in religiosa visione e mi si rivelasse con tutte le caratteristiche dell’eroina classica del mondo greco, proponendosi come protettrice dei luoghi e paladina della conservazione del sito archeologico.
Oggi me n’ gía bel bello e spensierato
verso il castel, piegato sulla china
che scende a valle ripida tra fiumi,
sol concentrato all’erta che salivo.
Giunto all’estremo tratto dello sforzo,
giovin fanciulla mi si para innanzi,
quasi a bloccar l’entrata alla fortezza,
e m’impedisce il passo e il piè mi ferma.
Lunghe ha le chiome sopra il col fluenti,
il collo fine, delicato il braccio,
ma dietro a tal dolcezza ben nasconde
forza viril, proposito indomabile.
Non vide mai tra i boschi del Taigeto
capriolo in fuga simil cacciatrice,
che in viso amiche avesse le fattezze
ma ferma man, freccia a scoccar decisa.
Seduta su destrier focoso e altero,
al braccio ha l’arco con la freccia pronta
in cocca, teso a ferir chi innanzi
a lei si faccia d’intenzione ostile.
Come la vedo in atto sí guerriero,
mi fermo incuriosito e la ispeziono
col guardo nelle forme, in atti e cerco
d’intender l’intenzion, poi pronto chiedo:
– Che fai tu qui solinga in solitario
luogo a tua età non uso, a te non atto,
ove periclo v’è di vile assalto
di satiro brutale o d’oste incolto? –
Ella mi guata e in me cosí profondo
infigge il guardo e mi trafigge il petto
e in cuor mi legge ogni pensier nascosto
e in me denuda ogni sentimento.
Poi mi sorride e l’ esce suon dal labbro
dolce, ma di tenore assai deciso,
e dir la odo, e quasi non ci credo.
– Custoda son di questi luoghi sacri –
dice, marcando forte quel “custoda”
che in lingua nostra ha genere comune,
mentr’ella vuole in forma femminile
per dir ch’è donna lei che qui protegge.
– Il mare ho traversato, la tempesta,
l’ira di Posidon, le stelle assenti,
allor che involge il cielo la tempesta
e scura è l’onda più che buia notte.
Perciò la mia figura non t’inganni,
non susciti pensier lontan dal vero!
Virgo ti sembro tenera, ma forte
guerriera son, al ferro e al fuoco avvezza.
Qui venni per amor di mia regina,
cui il piè-veloce diede ingiusta morte,
a dare giuste esequie a lei che infante
sul sen portai, nutrii, le diedi motto.
Pentesilea io dico, la regina
che donne in pugna prode conducea
sotto le teucre mura, ove gli Atrídi
l’armi portâro ingiuste e fêro strage;
Pentesilea, l’Amazzone regina,
che pure a me diè morte con sua morte,
m’infranse il cor, le viscere m’aperse
e mi lasciò da sola e sconsolata.
Son Cleta. Qui città costrussi e il nome
le diedi mio e all’altre lo trasmisi
che dopo me regnâr, finché Formione
l’ultima uccise e me trafisse al cuore.
Mutaron i nipoti in Petramala
il nome alla città ed il castello
quivi costrusser dove un dí il consulto
di mie sorelle al sole si teneva.
Ora qui sono a guardia del maniero,
qual nume tutelare, sentinella
di rocce, grotte, di testimonianze
che ai secoli raccontan lor fabella.
Nessuno i luoghi violi o deformi
o li deturpi o strada tracci larga,
che viottolo non sia adatto a carro
da bue paziente tratto o da cavallo!
Altro non sia l’intento a chi qui giunge
o quivi è l’arco, pronto a trâr la punta,
s’è d’uopo per difender l’erta e il castro!
Torna nel borgo, annunzia questo editto! –
A tal discorso, udito il suon del motto,
saluto con cortese deferenza,
che devesi a regina sí solenne.
Del dir fo cenno che son soddisfatto
e le sorrido a dir che son convinto.
Le terga poi le volgo e giro il passo
e a valle mi precipito commosso,
per riferir del dire suo il concetto.
Cleto, 12 marzo 2014 Franco Pedatella
Blog: francopedatella.com
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