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Archive for the ‘Immagini in Poesia’ Category

E giugno torna e fa ogni anno nuovo

il dí che venne al sol l’Amore mio

e quello le sorrise col suo raggio

e lei col labbro e l’occhio ricambiò.

 

S’amplificò la luce sotto il cielo.

In ogni direzion le particelle

d’aria animate d’energia ignota

si sparser da per tutto come piume,

 

cui soffio ratto e forte imprime volo

vers’orlo circolar che le respinge

al centro a mo’ di vortice scherzoso.

 

Gocce di luce andavano per l’aria

e il moto un suon creava, un’ armonia

di note di natura e voci umane.

 

Auguri!

 

 

Cleto, 11 giugno 2014        Franco Pedatella

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(Testo dedicato alla poetessa Daniela Ferraro, che ha dedicato un brano a Cleto, ripercorrendo l’antica leggenda di Cleta, in un linguaggio ricercato, che si adatta alla materia, simile al mio).

 

Tu, che novella pellegrina a Cleto

vieni a sentire il canto delle rocce

e degli anfratti, che della Regina

ancella intorno spargono il lamento,

 

dai monti risonante infino al mare,

finché gioiosa prole non le molse

il duol per la dogliosa traversata

e la perduta Amazzone Regina,

 

tu or di quella rinnovelli il canto

e a quelli d’oggi onnivori del posto

lo mostri nell’antica sua bellezza.

 

Io della cetra tua le note ascolto,

del ritmo m’inebrio di tue dita

e m’abbandono al suon che l’aure incanta.

 

Cleto, 30 aprile 2014               Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

 

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Credevo che il lavoro il fondamento

fosse della Repubblica Italiana

e chi distinto avesse il proprio ingegno

 

in quest’impegno, ch’è fondamentale,

del merito e d’onor era insignito

di grande Cavaliere del Lavoro.

 

Invece chi ti trovo in questa lista?

Non chi si è cotto il dorso sotto il sole

solchi a tracciar in campo e mieter messi;

 

non quei che in mezzo al pelago tra le onde

su picciol legno sfida la fortuna

o chi riarsa ha mano in officina;

 

non quei che in miniera e in gallerie

mai vede il sole, l’aria non respira

e adattato ha l’occhio al buio pesto,

 

né mira mai la luna in notte azzurra,

le stelle che tramontan all’aurora,

ché il sol le caccia al cielo e leva il trono

 

e falle impallidire, tenerelle.

È cavaliere Silvio Berlusconi,

Calisto Tanzi in bella compagnia

 

di tutti gli altri che hanno evaso il fisco,

dell’opra altrui sono sfruttatori,

hanno frodato il pubblico e il privato,

 

regole e banche hanno raggirato,

su frode edificato lor fortune,

l’umanità, lo stato han depredato.

 

Ma dico: che guardate, presidenti,

quando vi vien proposto da insignire

un uomo, un nome, un simbol da imitare?

 

Che documenti avete controllato?

Che puntuali indagini eseguito?

Che informazioni assunto, che notizie

 

avete con attento e vigil occhio

raccolto in giro quale garanzia

di quei che ha fatto, fa ed è fatturo?

 

Se simboli han da esser da seguire,

modelli cittadini da emulare,

sian puri, onesti come l’acqua chiara!

 

O come l’aria pura in alta quota,

ove fetór di condizione umana

sgradevole non giunge e non vi ha trono!

 

L’aquila sola, che ha la vista acuta,

può svolazzarvi ed agitar le piume

non tocche da vil fango della terra.

 

Cleto, 20 marzo 2014       Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

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Quand’odo che d’Italia il Presidente

a esporre va i problemi del Paese

al Cancellier tedesco, mi domando

se in vita è ritornato il Sacro Impero

 

Romano di Germania in suol d’Europa.

L’Italia fu il giardin di quell’impero,

vassallo fu feudal di quello Stato

finché l’alpino muro fu indifeso.

 

Poi le vicende del Risorgimento

nazione l’hanno resa indipendente.

Allora capirei, se si dicesse

che il nostro Presidente del Consiglio

 

va nella sede dell’Europa Unita

da pari a dialogar con gli altri membri,

capi di Stato, colleghi di governo,

sul modo di procedere in comune.

 

Nel mondo maggior peso ha l’Europa,

se come membri ha Stati ben dotati

di pari dignità e autonomia,

che agiscono in modo concertato.

 

Cleto, 3 marzo 2014     Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

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                     Il brano è stato ispirato dalla visita che ho fatto oggi al Castello di Cleto. All’idea che mi è tornata in mente all’istante circa gli annunciati interventi che si intendono fare nel Centro Storico, in particolare la costruzione di una strada di accesso alla zona circostante il castello, che non rispetterebbe, a quanto sembra, lo stato dei luoghi, ho immaginato che, proprio a difesa di questi, il simulacro della mitica regina Cleta mi comparisse quasi in religiosa visione e mi si rivelasse con tutte le caratteristiche dell’eroina classica del mondo greco, proponendosi come protettrice dei luoghi e paladina della conservazione del sito archeologico.

 

Oggi me n’ gía bel bello e spensierato

verso il castel, piegato sulla china

che scende a valle ripida tra fiumi,

sol concentrato all’erta che salivo.

 

Giunto all’estremo tratto dello sforzo,

giovin fanciulla mi si para innanzi,

quasi a bloccar l’entrata alla fortezza,

e m’impedisce il passo e il piè mi ferma.

Lunghe ha le chiome sopra il col fluenti,

il collo fine, delicato il braccio,

ma dietro a tal dolcezza ben nasconde

forza viril, proposito indomabile.

 

Non vide mai tra i boschi del Taigeto

capriolo in fuga simil cacciatrice,

che in viso amiche avesse le fattezze

ma ferma man, freccia a scoccar decisa.

 

Seduta su destrier focoso e altero,

al braccio ha l’arco con la freccia pronta

in cocca, teso a ferir chi innanzi

a lei si faccia d’intenzione ostile.

 

Come la vedo in atto sí guerriero,

mi fermo incuriosito e la ispeziono

col guardo nelle forme, in atti e cerco

d’intender l’intenzion, poi pronto chiedo:

 

– Che fai tu qui solinga in solitario

luogo a tua età non uso, a te non atto,

ove periclo v’è di vile assalto

di satiro brutale o d’oste incolto? –

 

Ella mi guata e in me cosí profondo

infigge il guardo e mi trafigge il petto

e in cuor mi legge ogni pensier nascosto

e in me denuda ogni sentimento.

 

Poi mi sorride e l’ esce suon dal labbro

dolce, ma di tenore assai deciso,

e dir la odo, e quasi non ci credo.

– Custoda son di questi luoghi sacri –

 

 

dice, marcando forte quel “custoda”

che in lingua nostra ha genere comune,

mentr’ella vuole in forma femminile

per dir ch’è donna lei che qui protegge.

 

– Il mare ho traversato, la tempesta,

l’ira di Posidon, le stelle assenti,

allor che involge il cielo la tempesta

e scura è l’onda più che buia notte.

 

Perciò la mia figura non t’inganni,

non susciti pensier lontan dal vero!

Virgo ti sembro tenera, ma forte

guerriera son, al ferro e al fuoco avvezza.

 

Qui venni per amor di mia regina,

cui il piè-veloce diede ingiusta morte,

a dare giuste esequie a lei che infante

sul sen portai, nutrii, le diedi motto.

 

Pentesilea io dico, la regina

che donne in pugna prode conducea

sotto le teucre mura, ove gli Atrídi

l’armi portâro ingiuste e fêro strage;

 

Pentesilea, l’Amazzone regina,

che pure a me diè morte con sua morte,

m’infranse il cor, le viscere m’aperse

e mi lasciò da sola e sconsolata.

 

Son Cleta. Qui città costrussi e il nome

le diedi mio e all’altre lo trasmisi

che dopo me regnâr, finché Formione

l’ultima uccise e me trafisse al cuore.

 

Mutaron i nipoti in Petramala

il nome alla città ed il castello

quivi costrusser dove un dí il consulto

di mie sorelle al sole si teneva.

 

Ora qui sono a guardia del maniero,

qual nume tutelare, sentinella

di rocce, grotte, di testimonianze

che ai secoli raccontan lor fabella.

 

Nessuno i luoghi violi o deformi

o li deturpi o strada tracci larga,

che viottolo non sia adatto a carro

da bue paziente tratto o da cavallo!

 

Altro non sia l’intento a chi qui giunge

o quivi è l’arco, pronto a trâr la punta,

s’è d’uopo per difender l’erta e il castro!

Torna nel borgo, annunzia questo editto! –

 

A tal discorso, udito il suon del motto,

saluto con cortese deferenza,

che devesi a regina sí solenne.

Del dir fo cenno che son soddisfatto

 

 

e le sorrido a dir che son convinto.

Le terga poi le volgo e giro il passo

e a valle mi precipito commosso,

per riferir del dire suo il concetto.

 

Cleto, 12 marzo 2014     Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Se ai mafiosi un Papa: – Convertitevi! –

dice – ché insanguinate son ricchezze

che possedete e a voi l’han procurate

mani grondanti sangue d’innocenti -,

 

perché non si vergognano i politici

a mantener rapporti con la mafia,

invece di combatterla e in prigione

mandar mafiosi e chi tien lor bordone?

 

Eppur è del potere dello stato,

è proprio del potere temporale

giustizia assicurare in questo mondo.

 

D’altro si cura quello spirituale:

rimettere i peccati, perdonare

la retta via dettar per l’altra vita.

 

Il monito suo lanci la politica,

è l’ora, s’alzi, segga sulla scranna

e detti la sentenza irrevocabile:

muoia la mafia con i suoi tentacoli!

 

Cleto, 22 marzo 2014       Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

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Quale la piovra cui son cento teste

e il pescator ne taglia una e l’ altre

tentan d’avvilupparlo, e il collo e il braccio

gli legano per ingoiar la testa,

 

tale la delinquenza organizzata,

la mafia, o comunque dir si voglia,

a chiunque la denunci o la persegua

cerca di tôr la mano e la parola,

 

terra bruciata far, silenzio imporre,

per far liberamente il male, impune.

Dell’uomo la Giustizia non si stanchi

 

d’imprigionar la mano che assassina

la vita vuol distruggere dei liberi

cui libero atto e motto stanno a cuore.

 

Se umana forza non è sufficiente,

del Ciel si muova il braccio a protezione

della città di Paola, di Orofino,

della Calabria, dell’Italia intera.

 

Nuova di Lerna Idra nell’odierna

palude nuovo Eracle minaccia,

ma serpentine teste saran mozze

ed omicida man rinchiusa in cella.

 

Cleto, 15 marzo 2014       Franco Pedatella

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Al papà

 

Dopo aver pensato alla mamma, lo stesso giorno ho pensato all’altra figura che nella famiglia ha sempre avuto un ruolo centrale per quanto riguarda il sostentamento e la guida educativa e morale, quando la donna, nella famiglia patriarcale, agiva solo all’interno delle mura domestiche: il padre.

 

Il tuo papà è quei che con grand’arte

ti guida pei sentieri della vita,

se c’è il bisogno lascia tutto e parte

dietro a colei che gli è di man sfuggita:

 

la buona sorte ch’ei vuol t’accompagni

per tutti i giorni della tua esistenza.

Gli astri anche vuole che ti sian compagni

quando è necesse a te loro assistenza.

 

Poi vuol che non ti manchi il pane in bocca

e il sol ti arrida e illumini la notte

bianca la luna e l’acqua alla tua brocca

 

sia sempre pura qual sorgente emette.

Perché abbia questo tu, le spalle ha rotte

ei che dei giorni suoi fe’ dì di lotte.

Cleto, 13 maggio 2012                   Franco Pedatella

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                                                                                                     (Alla mia donna)

La situazione odierna, nonostante le tante parole che si fanno sulla libertà e l’emancipazione della donna e la parità dei diritti con l’uomo, stando alle cronache, è davvero disperata e deve preoccupare a causa dei continui atti di violenza di cui il sesso femminile è fatto oggetto, violenza che arriva all’uccisione, il cosiddetto femminicidio. Allora accanto alla repressione del delitto bisogna adottare la prevenzione, soprattutto una particolare forma di prevenzione che si chiama educazione, cioè quel complesso di conoscenze e di comportamenti che formano l’uomo e lo rendono civile. Per questo ho pensato, per questa ricorrenza, di scrivere un testo che esalti le buone maniere che ogni uomo deve usare nei confronti della donna, a cominciare dalla propria donna, che può essere la moglie, la compagna, la fidanzata, l’innamorata, la madre, la sorella, per non dire la donna che gli è vicina. L’uomo deve rivolgerle pensieri di cortesia, farla destinataria di parole gentili, farla oggetto, sì, proprio oggetto di lodi che non abbiano niente di materiale, ma la collochino in un’atmosfera in cui il rispetto, addirittura l’adorazione, sia il motivo dominante di un rapporto nel quale la parità si realizza anche attraverso la cortesia e la raffinatezza dell’habitus su un piano spirituale. In un uomo educato in questo modo non vi può essere posto per intenzioni malvagie o brutali. Avremo così aiutato la prevenzione, quella che generalmente s’intende come intervento di tutela prima che si verifichi il fattaccio, ed evitato, in molti casi, la repressione. Le obiezioni a questo testo saranno tante, ma ritengo che lo si possa considerare un elemento capace di suggerire strade alternative alle tante ovvietà che si sentono in giro e far partire un processo di maturazione, all’interno della coscienza di ogni uomo degno di tal nome, di un comportamento onorevole. Sogni? Non so. Intanto non è qualcosa di sostitutivo, è solo un elemento aggiuntivo che mette al centro l’educazione e può parlare a molte coscienze, non a tutte. Poi, si sa, non tutti i chicchi di grano seminati nel campo daranno frutti, ma nel campo degli uomini i frutti buoni possono anche contagiare, forse costituire un’epidemia benefica. E sia!

 

Inghirlandar vorrei le belle chiome

del fulvido color della mimosa,

ma di bel fior non son raccoglitore,

di voci fabbro sono risonanti.

 

Per questo t’inghirlando di parole

e laudi tesso alle dolci chiome,

degli occhi canto eterno lo splendore,

dell’animo il calor, del cuor l’amore.

 

Se il fior s’affloscia e perde il suo vigore,

quando alla sera il sol s’asconde e tace

e nega alla campagna il suo calore,

 

il verso mio la luce tua riporta

tra innumeri anni ai secoli futuri,

sicché qual dea vivrai tra gente nova.

 

Auguri!

Cleto, 8 marzo 2014         Franco Pedatella

 

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Il testo è nato dalla promessa di scrivere sulla genialità dei calabresi fatta la sera del nove febbraio 2014 ai giovani del Comitato Civico “Natale De Grazia” di Amantea, in particolare a Michele Muoio, che me l’ha sollecitata, invitati a Cleto dall’Associazione “La Piazza” per discutere circa il problema della costruenda discarica in località Giani ad opera del Comune di Lago ed in generale del problema dei rifiuti in Calabria. L’ispirazione e l’architettura della composizione seguono immediatamente la promessa. La stesura avviene nei giorni immediatamente successivi; la scrittura in computer in forma definitiva, almeno per il momento, avviene oggi.

 

Quando gli antichi Brettii qui vivevano,

era la nostra terra fortunata

di genî produttrice e demiurgo

di civiltà, di popoli e Il culture.

 

Fu Magna Grecia e di splendori d’arte,

di genti e monumenti grande madre,

quando sbarcâro d’esperienza ricchi

esperti marinai e le diêr lustro.

 

Quivi portò primiero in Occidente

Pitagora il sapere filosofico

e il numero sancì esser l’essenza

d’ogni realtà che all’uomo è dentro e intorno.

 

Quivi insegnò il filosofo i principî

della sua scienza, di filosofia.

Lo udiron molti sí che scuola aperse;

dei numeri diffuse conoscenza.

 

Italia poi divenne e il nome diede

allo Stivale  e a sé serbò Calabria

con bell’appellativo, che i bei frutti

ricorda dei suoi monti, piani e valli.

 

Telesio, Cassiodoro, Campanella

vennero figli a questa terra eccelsi

a proclamar quel ch’oggi è ancor: di storia,

di genî culla e porto a chi in mar vaga.

 

Dell’oggi che altro dir, dei guai odierni:

speculazione sulle belle coste,

deturpamento delle sue bellezze,

montagne di rifiuti pestilenti

 

che vita fugge e morte s’appropinqua;

i monti e i colli in preda all’abbandono

che in frana porta a valle i bei villaggi

pei fiumi d’acqua più non regimati;

 

e la normale vita della gente

alla paura in preda ed al disturbo

da malavita ognóra provocati

con la violenza in chiasso o la silente;

 

ed il bisogno, disoccupazione,

che inoperosa tien la miglior forza?

Víndice leverà la mente e il braccio

per riscattar l’offeso onor, la fama,

 

tornar regina in mar Mediterraneo,

dei rivieraschi popoli lanterna,

guida a chi scienza imprende e il nuovo esplora.

Cosí risorta la Calabria voglio.

Cleto, 1° marzo 2014                  Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

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