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Archive for the ‘Immagini in Poesia’ Category

I fiori voglio ch’abbia ancor la casa.

 

I fiori voglio ch’abbia ancor la casa,

ch’abbia il profumo ancora della sposa;

che albore quinci uscìa di bella  rosa

il mondo sappia, che a mirar si posa.

 

Quivi era festa ieri e ancor perdura

e che permanga ognun di noi si cura.

Andar la sposa incontro al fido sposo

e avvolgerlo vediam qual filo il fuso.

 

Felicità negli occhi a lei splendeva

quand’egli tra le braccia l’accoglieva.

Ei del candor di lei s’illuminava

 

tanto che Luna del color pareva

del Sol esser pervasa e il firmamento

parean formare in due e amor ne sento.

 

Cleto, 22 agosto 2016           Franco Pedatella

 

Blog: francopedatella.com

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Il testo è stato concepito a seguito dell’invito rivoltomi dal giornalista, nonché ex alunno ed amico, Paolo Orofino  a scrivere qualcosa sullo scioglimento del Consiglio Comunale di Cleto e le dimissioni del Sindaco. Gli ho risposto che avrei dovuto aspettare che la Musa mi facesse visita e mi ispirasse. Poi questo è accaduto dopo qualche giorno: sul far del giorno la bella Musa mi è comparsa e mi ha parlato. Quindi il testo, dopo essere stato composto, ha atteso un po’ di tempo in computer prima di essere pubblicato, perché ho voluto limarne e perfezionarne i suoni e le rime, per quanto ho saputo fare. Penso, infatti, che sia ottima abitudine quella di “… nonam edere post hiemem …”, cioè pubblicare solo  dopo un lungo lavoro di rifinitura, come dicevano i Latini.

 

Nell’ora che i sogni veritieri

son e ogni imago sotto i veli appare

più chiara e chiara parla ai miei pensieri,

agli occhi miei la regina appare,

 

cosí come in boscaglia al cacciatore

fanciulla snella e fiera si presenta,

che ucciso ha un animale predatore

e i muscoli la corsa non le allenta.

 

Ha l’arco in spalla, in pugno la saetta,

negli occhi un lampo, in fronte il sol fulgente;

e, mentre ferma il passo, un po’ s’assetta,

per presentarsi in atto conveniente.

 

Poi si rivolge a me con dir tonante,

che rende del suo cuore l’apprensione

sí che ad un fine solo non mutante

tendono il corpo e l’alma l’espressione:

 

“ Spiegami tu, che d’altra terra vieni,

ove fiorisce il gelso e l’artigiano

ovra e intelletto è fine e non ha freni:

perché la gente mia di vita vano

 

ha il corso, sí che mai non giunge al mezzo

quel che ha previsto per la settimana,

ma dell’impresa compie solo un pezzo

e lascia alla mercé d’acqua piovana

 

il resto, che l’ingordo mar travolge?

L’invidia l’opra intrapresa segna,

poiché l’un l’occhio all’altro bieco volge

e lite in paese eterna regna.

 

Gli animi tutti l’alterigia incera

e al peggio ogni buon pensiero move

sí che nel mio palazzo spesso impera

estraneo reggitor che ha il cuore altrove.

 

Contrasti di vedute tengon campo

piú che badare al ben comune insieme,

sí che discordia scoppia come un lampo

e squarcia in ciel le nuvole serene.

 

Dimmi di queste cose la ragione

cosí che un poco in petto rassereno

l’animo che sobbalza in apprensione

e do riposo ad ogni pena in seno!

 

Tali non fûro i figli miei passati,

che uniti in campo sempre si battêro

di fronte un tempo ai forti Crotoniati

ed ampia di coraggio prova diêro.

 

Una la forza, una volontate

per la difesa del suol patrio fu;

ognuno allontanò ogni viltate

e mise in petto ogni sua virtú.

 

Di quelli la più forza poi da sezzo

piegò il coraggio, impose a noi saggezza:

fu’ io che ne pagai il maggior prezzo,

ma i miei ai figli diêro la salvezza.

 

Queste vicende esempio in avvenire

siano a chi s’appresta a governare,

ché dopo il verno viene primavera

e il frutto appronta all’uom d’ assaporare.

 

A chi le sacre penne vestir vuole

d’aver giustizia a cuor si raccomanda,

ché quel che in corpo e in animo si duole

guarda con speme verso chi comanda.

 

 

Respira, opra e rema in sola barca

chi va benigno in mare periglioso,

e pesca ed in comune mette in arca

come Noè in diluvio rovinoso.

 

Non segga al posto mio chi dispennare

pensa l’uccello sacro del potere,

che al popolo si volge per guidare

la terra ov’olio e vino si può bere.

 

 

Forse era meglio fosse femminile

la trasmissione del potere antico:

tenevo al seno il popolo qual prole

ed il potere al popolo era amico”.

 

Quinci si volge e a me le belle terga

mostra né udire vuol la mia risposta,

ché la sua voce e il tono sa che alberga

ferma opinion e in cuor l’è ben riposta.

 

Indi scompare sí com’era apparsa,

lasciando me in gran dubbio e in afasía

e dietro a sé d’ambrosia in aere sparsa,

qual si conviene a dea, lunga scìa.

 

Cleto, 16 aprile 2015             Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

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Auguri per il settantesimo compleanno di Vincenzo Rainò

 

Ti generò dei Calabri la terra,

ti accolse il Bruzio ed or ti tiene Aiello;

la gioia delle figlie e il fido amore

di moglie e della suocera ti allegrano;

l’affetto di più amici e dei parenti

sempre i tuoi giorni affianca qual compagno,

o Vincenzo Rainò, a noi diletto.

 

Qui oggi festeggiam tutti riuniti

il settantesimo anno di tua vita

ed anni che verranno numerosi,

orsù, auguriam, finché al mattino il sole

a te sempre ridente sorgerà

in cima al Col Faeto in ciel che splende,

o Vincenzo Rainò, per noi felice!

 

Franco Pedatella scrisse il testo a Cleto e lo consegnò ad Amantea addì 28 dicembre 2015

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Le tre Grazie

Il testo è stato ispirato da una fotografia che ritrae mia moglie Anna Maria e le mie due figlie Angelica e Claudia.

 

Non necessariamente sull’Olimpo

stan le tre Grazie a dispensare doni,

che Giove o altro dio concede agli uomini,

e vate han che a lor sacro inno intona.

 

Sí era un tempo, quando Esiodo d’Ascra,

il canto accompagnando con la lira,

dicea di dèi, d’uomini e d’eroi,

del cosmo e dei lavori dei mortali.

 

Oggi a me tocca, umile poeta,

estremo e acerbo ramo degli omeridi,

di celebrar tre Grazie sulla Terra

che amore, la bellezza, e l’amicizia

 

portano in dono agli uomini, che soffrono.

A lor le chiome con fil d’oro Atena

filate ha con sua mano e pettinate

in boccoli, pei quai saetta il Sole

 

i dardi suoi per farle scintillanti.

Con Diana vi si specchiano le stelle,

quando si copre il ciel di nero manto

per conciliar la pace a diurni stenti.

 

Era con mani esperte il portamento

curò cosí che ad esso si conformano

le belle forme che le fan regine

tra le altre donne che stan loro intorno.

 

Venere le profuma e le fa dolci

al guardo di tanti uomini incantati

e intorno va l’amore seminando,

che cresce in ricche piante e porta frutti,

 

quali dai rossi chicchi il melograno

e il pane buono d’amicizia in dono.

Questa missione compion le tre Grazie,

che agli occhi miei son dee, son tre madonne.

 

Ha bei pensieri Eufrosine Anna Maria,

che con letizia dona alle vicine

sí che il donare porta aer di festa

e suscita gaiezza in chi l’è intorno.

 

Aglaia, la Splendente, Claudia mia,

ha l’animo gentil e ne fa dono

a chiunque s’avvicini e le domandi

che vesta i panni di chi ha più bisogno.

 

 

Le lucon gli occhi qual di notte Sirio,

quando tra l’altre stelle è più lucente.

Talía, la produttrice d’ogni bene,

fattrice di ricchezza, la Fiorente,

 

Angelica, completa Triade Santa

e tutte abbraccia in cuor e con la mente.

Se ispiratrice è questa compagnia,

io toccherò la vetta di poesia.

 

Cleto, 12 gennaio 2016            Franco Pedatella

 

Blog: francopedatella.com

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Quel corpo in campo tra gli arbusti ascoso

di crudo rovo, che pio lo ricoverse,

in quei che lo trovò rese pietoso

il viso quando l’occhio a quel si torse.

 

Al guardo suo il mio pure s’associa

e vedo con quegli occhi il mar di strazio

che in petto ai genitori il duolo infocia

e nell’affanno il cuor lor stringe in laccio.

 

Mano crudele, a che facesti scempio

di un animo infantil pria che del corpo?

A quale mal volgesti il pensier empio?

 

Or ti convien, per impetrar perdono,

donar la vita all’ali di colui,

se c’è, che su sé assume il mal del mondo.

 

L’uomo non può,  sarìa gravoso assai

da sopportar di tal delitto il pondo!

La terra inorridita si ritrae

dall’albergare in sen uom sί nefando.

 

Franco  Pedatella

 

Cleto, 26 febbraio 2011.

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Alto tradimento è la parola

da anni attesa a definir reati

contro la pubblica amministrazione

da parte di persone che han giurato

 

di essere fedeli allo Stato.

Or finalmente in bocca a un presidente

questa espressione odo e gli domando

di esser finalmente conseguente:

 

vi sia la pena e il codice adeguato

a chi ha commesso simile reato,

e insegni stil di vita e d’ operare

 

a chi detien mandato popolare

o sia dipendente dello Stato.

Pena maggior al general sia data

 

di quella  che al soldato è comminata.

 

Cleto, 6 giugno 2014        Franco Pedatella

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Se un papa: “I comunisti ci han rubato

la bandïera ch’era del Vangelo”

dice “perché della cristiana fede

è proprio star vicino ai maltrattati”,

 

allor, compagni, a che aspettiamo ancora

a issarla ben visibil sul veliero

e per le coste per il mondo intero

mostrarla a quel che soffre ignudo e ha fame

 

ed è tornato schiavo da quel giorno

che voi quella bandiera sotterraste

perch’ un di sangue uman l’avèa macchiata?

Ella dell’uom ostende l’avvenire,

 

il duol contiene di generazioni

che prone sotto frusta di padroni

gîro.  Per lei poi presero coscienza

d’essere serve non per voglia arcana

 

ma per iniqua legge da cambiare,

stringendosi fratelli in una lotta

per un progetto solo di riscatto

che degno faccia l’uom del suo destino,

 

come a fattor suo piace o a natura.

Se avvertimento vien da sí alto soglio,

a noi riman da pulpito minore

coglierlo e del suo dire far tesoro.

 

Roma, luglio 2014           Franco Pedatella

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(Il brano viene scritto in occasione del massacro di alcuni bambini palestinesi da parte delle truppe israeliane che operano nella Striscia di Gaza)

 

Quando il cannone tuona e rugge Marte,

io mi domando: “A che l’uom sulla Terra?

A strugger il fratèl, sgozzar gl’infanti?

Tagliar la propria pianta alle radici?”.

 

Indi dogliosa al cuore la risposta

mi suona ed un pensier mi torna triste,

che questo fa non cavalier solingo,

che vagabondo va di selva in selva

 

ed ogni ombra o moto a sé ostil vede

e tratta ogni uom che incontra qual nemico,

perché l’errar già l’empie di spavento

che il petto ed il pensier gl’invade e adombra,

 

ma il capo di uno stato organizzato,

che freddamente lungi dalla pugna,

a tradimento e con vile intento,

programma il massacro di fanciulli,

 

mentre innocenti fanno i loro giochi

o vanno a scuola ad imparar la vita

che a lor si nega pria che a lor sorrida

e sparga il suo profumo come il fiore.

 

Cleto, 17 luglio 2014              Franco Pedatella

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Nando Aloisio

Quegli che a noi le vie primiero aperse

di società di liberi ed eguali,

dando parola al fabbro e al contadino,

 

che pria toccava solo al titolato

solo talor del popolo sollecito,

l’onde del mar varcò vèr l’Argentina
e volle lí portar testimonianza

di belle lotte qui condotte e vinte

con spirto di fratello e di compagno.

 

Lí fu soggetto a vil persecuzione,

perché a chi il potere iniquo imporre

volèa, deciso, il passo contrastava

 

a  protezion dei deboli ed oppressi,

con il coraggio pronto di chi in croce

con consapevolezza si fa mettere.

 

Subí la dittatura e la violenza

che lo costrinser a cambiare il luogo

dove dormir la notte ed evitare

 

d’esser trovato morto la mattina,

come diceva la minaccia all’I.N.C.A.,

da nota ignota mano devastato,

 

che impaurir tentava chi assistenza

dava ogni giorno ai lavoratori.

Nando era sopra anche alla paura!

 

Ei seppe con altrui perfin le scarpe

dividere, quand’altro era scalzo,

e in casa un dí a piè nudo se ne venne,

 

dicendo: ”Ma’, Guidoccio alla montagna

dovéa tornar con acqua, neve e vento!

Per una settimana io sto in casa,

 

finch’egli mi riporta quelle scarpe”.

Di lui mi narra questa storia ed altre

ogni angolo, ogni sasso del paese.

 

Era cosí Nanduzzo: mano tesa,

sorriso pronto, cuore al ben disposto,

parola ad aiutar chi avéa bisogno,

 

volto intelletto all’equo, al giusto, al retto.

A chi la via del socialismo volle

percorrer fu maestro che si pone

 

al lato del discepol, non dinanzi,

per non sembrar colui ch’ ha il passo innanzi.

Ma anche a chi con animo sincero

 

volle altre vie seguir, e non con colpa,

fu guida amabil  e di stima segno.

Aiello il suo ricordo porta in petto.

 

Cleto, 25 luglio 2014                  Franco Pedatella

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Temesa vola

Il testo è una visione ispirata dal primo di una serie d’incontri programmati, tenutosi presso il Municipio di Cleto tra alcuni sindaci del Comuni vicini, a nord e a sud del Fiume Savuto, il dott. Gregorio Aversa, Responsabile Territoriale della Sovrintendenza ai Beni Archeologici della Calabria, l’Associazione Culturale Cletarte di Cleto ed il Gruppo Archeologico Alybas di Serra d’Aiello, per concordare un’azione coordinata per la realizzazione di un progetto comune finalizzato alla scoperta e valorizzazione dei beni culturali del territorio.

 

Temesa vola, al vento ha l’ali aperto,

da picciol nido il becco in alto drizza

ov’aura pura porta allo scoperto

e mostrane le doti, ogni ricchezza,

 

che i secoli e i millenni avéan coperto

dell’ombra dell’oblío per darle intatte

ai figli suoi moderni che in concerto,

riuniti qui, tra lor le mani han strette

 

ed han giurato di ridar la luce

al patrimonio sotto i piedi ascoso,

dove il Savuto l’acque al mare adduce,

l’Oliva l’onda versa in mar pescoso,

 

il Catocastro apre al mar bel porto,

più a nord  un dí Francesco il ciel mirava,

mentre da sud Maria l’uomo in torto

che gía a Conflenti in priego perdonava.

 

Quivi la terra al sole si distende,

tra i monti e il mar l’olivo e l’uva accoglie

e in mezzo ai fiumi rigogliose tende

le membra, fin che il verno non le spoglia.

 

Tra mura antiche e campi e spighe bionde

lo sguardo volgo e veggo dalle torri

competer Greci in mare con grandi onde

e in mezzo ai flutti spinger come carri

 

ornate prore, mentre d’alti monti

segnal di guerra aduna eroi armati

d’asce, di falci, spade con tridenti,

che accorron, parte in ordine schierati,

 

parte qual gregge o massa uguale a ciurma,

u’ fischio primigenio chiama e attira

ove più forte è il fuoco della pugna

tra il colle e il piano u’ batte l’onda e spira.

 

Qui su cavallo bianco un cavaliero

s’avanza in campo e tien gladio affilato.

Di tavole di leggi è messaggero

candido magistrato a lui di lato.

 

Di fronte a lor nocchier canuto viene

che reca in mano grande pergamena.

L’un dona a l’altro insegna che in man tiene

e ognun diventa quel che pria non era.

 

Ora son tre in uno sí che una

fanno la volontà, fanno uno il fine,

la forza del pensare fanno una,

una dell’operar fan l’intenzione.

 

In batter d’occhi il tintinnar dell’armi,

lo scalpitare di cavalli in corsa

e di guerrieri in schiera e genti in ciurma

tacquer qual grido in gola che si smorza.

 

Nel luogo, ov’oggi sono convenuti,

i figli suoi voglion riscoprire

l’urbe che vi fondâro gli antenati

e darle l’ali al volo nel futuro,

 

e quel che sotto il sole all’occhio splende

a quel ch’è trapassato collegare,

per rivelar qual oro è quel che tende

in man donzella e il luogo sviluppare.

 

Temesa i’ fu, trifronte cittadina,

cu’ i popoli fondanti fama diêro

nel mar lontano e in terra qui vicina,

ovunque l’uomo e il dio lor sede fêro.

 

Territorio dell’antica Temesa, 21 agosto 4014

Franco Pedatella

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