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Archive for the ‘Home’ Category

Il testo è stato concepito a seguito dell’invito rivoltomi dal giornalista, nonché ex alunno ed amico, Paolo Orofino  a scrivere qualcosa sullo scioglimento del Consiglio Comunale di Cleto e le dimissioni del Sindaco. Gli ho risposto che avrei dovuto aspettare che la Musa mi facesse visita e mi ispirasse. Poi questo è accaduto dopo qualche giorno: sul far del giorno la bella Musa mi è comparsa e mi ha parlato. Quindi il testo, dopo essere stato composto, ha atteso un po’ di tempo in computer prima di essere pubblicato, perché ho voluto limarne e perfezionarne i suoni e le rime, per quanto ho saputo fare. Penso, infatti, che sia ottima abitudine quella di “… nonam edere post hiemem …”, cioè pubblicare solo  dopo un lungo lavoro di rifinitura, come dicevano i Latini.

 

Nell’ora che i sogni veritieri

son e ogni imago sotto i veli appare

più chiara e chiara parla ai miei pensieri,

agli occhi miei la regina appare,

 

cosí come in boscaglia al cacciatore

fanciulla snella e fiera si presenta,

che ucciso ha un animale predatore

e i muscoli la corsa non le allenta.

 

Ha l’arco in spalla, in pugno la saetta,

negli occhi un lampo, in fronte il sol fulgente;

e, mentre ferma il passo, un po’ s’assetta,

per presentarsi in atto conveniente.

 

Poi si rivolge a me con dir tonante,

che rende del suo cuore l’apprensione

sí che ad un fine solo non mutante

tendono il corpo e l’alma l’espressione:

 

“ Spiegami tu, che d’altra terra vieni,

ove fiorisce il gelso e l’artigiano

ovra e intelletto è fine e non ha freni:

perché la gente mia di vita vano

 

ha il corso, sí che mai non giunge al mezzo

quel che ha previsto per la settimana,

ma dell’impresa compie solo un pezzo

e lascia alla mercé d’acqua piovana

 

il resto, che l’ingordo mar travolge?

L’invidia l’opra intrapresa segna,

poiché l’un l’occhio all’altro bieco volge

e lite in paese eterna regna.

 

Gli animi tutti l’alterigia incera

e al peggio ogni buon pensiero move

sí che nel mio palazzo spesso impera

estraneo reggitor che ha il cuore altrove.

 

Contrasti di vedute tengon campo

piú che badare al ben comune insieme,

sí che discordia scoppia come un lampo

e squarcia in ciel le nuvole serene.

 

Dimmi di queste cose la ragione

cosí che un poco in petto rassereno

l’animo che sobbalza in apprensione

e do riposo ad ogni pena in seno!

 

Tali non fûro i figli miei passati,

che uniti in campo sempre si battêro

di fronte un tempo ai forti Crotoniati

ed ampia di coraggio prova diêro.

 

Una la forza, una volontate

per la difesa del suol patrio fu;

ognuno allontanò ogni viltate

e mise in petto ogni sua virtú.

 

Di quelli la più forza poi da sezzo

piegò il coraggio, impose a noi saggezza:

fu’ io che ne pagai il maggior prezzo,

ma i miei ai figli diêro la salvezza.

 

Queste vicende esempio in avvenire

siano a chi s’appresta a governare,

ché dopo il verno viene primavera

e il frutto appronta all’uom d’ assaporare.

 

A chi le sacre penne vestir vuole

d’aver giustizia a cuor si raccomanda,

ché quel che in corpo e in animo si duole

guarda con speme verso chi comanda.

 

 

Respira, opra e rema in sola barca

chi va benigno in mare periglioso,

e pesca ed in comune mette in arca

come Noè in diluvio rovinoso.

 

Non segga al posto mio chi dispennare

pensa l’uccello sacro del potere,

che al popolo si volge per guidare

la terra ov’olio e vino si può bere.

 

 

Forse era meglio fosse femminile

la trasmissione del potere antico:

tenevo al seno il popolo qual prole

ed il potere al popolo era amico”.

 

Quinci si volge e a me le belle terga

mostra né udire vuol la mia risposta,

ché la sua voce e il tono sa che alberga

ferma opinion e in cuor l’è ben riposta.

 

Indi scompare sí com’era apparsa,

lasciando me in gran dubbio e in afasía

e dietro a sé d’ambrosia in aere sparsa,

qual si conviene a dea, lunga scìa.

 

Cleto, 16 aprile 2015             Franco Pedatella

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Le tre Grazie

Il testo è stato ispirato da una fotografia che ritrae mia moglie Anna Maria e le mie due figlie Angelica e Claudia.

 

Non necessariamente sull’Olimpo

stan le tre Grazie a dispensare doni,

che Giove o altro dio concede agli uomini,

e vate han che a lor sacro inno intona.

 

Sí era un tempo, quando Esiodo d’Ascra,

il canto accompagnando con la lira,

dicea di dèi, d’uomini e d’eroi,

del cosmo e dei lavori dei mortali.

 

Oggi a me tocca, umile poeta,

estremo e acerbo ramo degli omeridi,

di celebrar tre Grazie sulla Terra

che amore, la bellezza, e l’amicizia

 

portano in dono agli uomini, che soffrono.

A lor le chiome con fil d’oro Atena

filate ha con sua mano e pettinate

in boccoli, pei quai saetta il Sole

 

i dardi suoi per farle scintillanti.

Con Diana vi si specchiano le stelle,

quando si copre il ciel di nero manto

per conciliar la pace a diurni stenti.

 

Era con mani esperte il portamento

curò cosí che ad esso si conformano

le belle forme che le fan regine

tra le altre donne che stan loro intorno.

 

Venere le profuma e le fa dolci

al guardo di tanti uomini incantati

e intorno va l’amore seminando,

che cresce in ricche piante e porta frutti,

 

quali dai rossi chicchi il melograno

e il pane buono d’amicizia in dono.

Questa missione compion le tre Grazie,

che agli occhi miei son dee, son tre madonne.

 

Ha bei pensieri Eufrosine Anna Maria,

che con letizia dona alle vicine

sí che il donare porta aer di festa

e suscita gaiezza in chi l’è intorno.

 

Aglaia, la Splendente, Claudia mia,

ha l’animo gentil e ne fa dono

a chiunque s’avvicini e le domandi

che vesta i panni di chi ha più bisogno.

 

 

Le lucon gli occhi qual di notte Sirio,

quando tra l’altre stelle è più lucente.

Talía, la produttrice d’ogni bene,

fattrice di ricchezza, la Fiorente,

 

Angelica, completa Triade Santa

e tutte abbraccia in cuor e con la mente.

Se ispiratrice è questa compagnia,

io toccherò la vetta di poesia.

 

Cleto, 12 gennaio 2016            Franco Pedatella

 

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di Franco Pedatella

Il Ministro dell’Istruzione, che una volta era giustamente ed opportunamente Ministro della Pubblica Istruzione, non conosce la scuola e non conosce la storia. Non sa, per esempio, che quando una volta alla fine dell’anno scolastico c’era la “qualifica degli insegnanti”, cioè la valutazione che il Direttore Didattico, nella scuola elementare, oggi “primaria”, attribuiva ai suoi insegnanti, davanti casa sua c’era una lunga fila di insegnanti con in mano “costosi” regali in attesa di entrare per ricevere la sospirata “qualifica”di “ottimo”. Certamente la Legge non prevedeva né permetteva simile pratica, ma era così. Ed era così, perché siamo uomini ed, in quanto uomini, sbagliamo e siamo “peccatori”. E quei direttori didattici, nonostante le loro debolezze, ambizioni eccetera, anche per l’indirizzo degli studi specifici seguito, erano intellettualmente, a parte le dovute eccezioni, fior di professionisti, conoscevano la pedagogia e la psicologia, le dinamiche del processo di crescita degli alunni, entravano nelle aule scolastiche e sapevano perfettamente quanto una classe lavorasse e quale livello d’istruzione avesse raggiunto almeno complessivamente. Il fatto che riferisco è il racconto di uno dei tanti maestri elementari che non si piegavano a questa logica “clientelare”, ed erano tanti e lodevoli, ma che magari “pagavano a caro prezzo” questo loro atteggiamento dignitoso. Gli altri erano costretti a piegarsi per i più disparati motivi, tra cui certamente lo stato di bisogno.

Il Dirigente Scolastico di oggi è il dirigente di un istituto che tende ad avere, almeno nelle intenzioni dei ministri del nuovo millennio, le caratteristiche dell’azienda e che dall’alto si pretende che sia sempre di più un’azienda. In quest’azienda si fanno degli investimenti e, come in ogni azienda che si rispetti, bisogna “far quadrare i conti” e poi “vendere il prodotto” attraverso una buona pubblicità: fissare vari appuntamenti nell’arco dell’anno scolastico, in cui, in pubbliche manifestazioni, vengono fatti esibire gli alunni, davanti a genitori compiaciuti, ad Autorità di rito e a cittadini curiosi, in performance finalizzate all’esposizione del “prodotto” umano, per dimostrare che quella scuola funziona. Anche così quella scuola fa concorrenza all’altra scuola e cerca di avere più iscritti dell’altra per l’anno successivo, anche perché così si hanno più finanziamenti, più progetti e più soldi. Ma il Dirigente di questo tipo di scuola dedica quasi tutto il suo tempo ai conti, ai finanziamenti, alle operazioni di facciata, che sono quelle che procurano il “buon nome” alla sua scuola. Poco però sa, tranne le dovute eccezioni di fronte alle quali bisogna togliersi il cappello, degli alunni, delle problematiche presenti nelle classi e di tutto quello che significa crescita cognitiva e formativa degli studenti. Se poi il docente ha dei problemi con alunni e famiglie, è un fatto che deve sbrigarsi il docente stesso; ove vi sia coinvolto il Dirigente (badate, non il Preside; il preside era un’altra cosa), questo cura le public relations e si guarda bene dal “guastarsela con i genitori” e con gli alunni-clienti. A tali dirigenti la Legge sulla Buona Scuola (la chiamano “beffardamente” Riforma, e non solo oggi) affida il compito di scegliere i docenti per i figli di quei genitori. Ma questi dirigenti non hanno il tempo né le competenze, a parte il rispetto che si deve sempre a qualcuno, per interessarsi delle classi e dei processi evolutivi. Questi “padroncini”, pur con le migliori intenzioni di questo mondo, faranno in gran parte un disastro, perché non sono direttori didattici né presidi, non ne hanno le funzioni e non possono dedicarvisi, in quanto costretti a fare altre cose. Guideranno con logica aziendalistica la scuola-azienda, che poi non è un’azienda vera, abbassando pericolosamente la qualità della scuola pubblica, e la faranno deragliare come un treno in folle corsa. Metteranno i docenti l’uno contro l’altro in una competizione sleale che non punterà alla qualità della loro lezione ed all’impegno degli studenti, ma al “farsi volere bene” da tal dirigente e da tali genitori, con il risultato negativo di avere docenti scarsamente motivati verso il loro delicato lavoro, oserei dire verso la loro delicata ed insostituibile missione.

Ovviamente la colpa di tutto questo disastro non è da imputare soltanto a tali dirigenti, ma all’impianto complessivo della scuola che viene dettato dall’alto, dove si è voluto e si vuole imporre, non soltanto oggi, la logica dell’azienda in un organismo in cui la logica dell’azienda non si può applicare. Questa si può applicare soltanto dove si può misurare il numero dei bulloni che si avvitano in un giorno, il numero dei pezzi di ferro che si tagliano, con la dovuta cautela il numero delle pratiche d’ufficio che si sbrigano in un giorno; mai nella scuola, dove le operazioni non sono manuali e si lavora sull’animo e sul cervello di giovani da informare, ma soprattutto da formare, in tempi e modi che dipendono da una miriade di condizioni oggettive e soggettive di ogni singolo alunno e del mondo, anche psichico, che gli gira intorno, oltre che dal docente, condizioni che sono fattori non misurabili del processo cognitivo e formativo. Allora, di fronte all’insuccesso di questo tipo di scuola-azienda, i cittadini più facoltosi busseranno ad una di quelle poche scuole private di eccellenza; non a tutte le scuole private, badate!, che sono sempre state e continuano ad essere diplomifici. Già lo erano negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando i “figli di papà” che avevano l’insuccesso nella scuola pubblica, che era sempre di qualità, si iscrivevano a queste scuole che assicuravano la promozione facile.

In questo modo, snaturando la scuola pubblica, si torna alla “scuola di classe”, quella a cui i “figli del popolo” non potevano accedere ieri e non potranno accedere domani. Per loro ieri c’era l’analfabetismo, oggi si prospetta una falsa istruzione, che non li qualifica per gli obiettivi elevati, per le alte sfere dell’intellettualità e dei corrispondenti impieghi remunerativi sia in termini economici che in termini di soddisfazione morale, ma li spinge e costringe verso il basso in mansioni di basso livello, poco soddisfacenti moralmente ed economicamente.

Questo accade sotto i nostri occhi increduli ed impreparati agli eventi, dopo le tante battaglie politiche, sociali ed ideali del secolo scorso per una scuola libera, di qualità, aperta a tutti ed eguale per tutti, dove l’impegno ed il merito erano occasione di progresso e di riscatto ed in cui anche le “condizioni di partenza” e le “difficoltà ambientali”, correlate al tipo ed al grado di scuola frequentata, facevano parte della “valutazione” degli alunni in termini di maggiore o minore merito.

Ora, chi avrebbe immaginato che in Italia saremmo arrivati a questo punto di disfacimento della funzione educativa e cognitiva della scuola? A questo ci hanno portato gli anni di rivoluzione, pardon!, d’involuzione della politica scolastica dagli ultimi anni del Novecento ad oggi. E allora, se si vuole evitare di tornare alla pratica di certi sistemi di asservimento dei docenti che qualche “cattivo dirigente” potrebbe instaurare, con le conseguenze che abbiamo cercato di delineare, lo sciopero di oggi non è solo lo sciopero degli insegnanti, ma deve essere lo sciopero di tutti coloro che hanno a cuore il futuro delle giovani generazioni ed i destini della Nazione.

Ovviamente queste sono alcune delle considerazioni che si possono fare brevemente sulla tanto conclamata e declamata “Riforma della scuola” e non hanno la pretesa di essere esaurienti rispetto all’argomento in discussione.

Cleto, 5 maggio 2015                                                                        Franco Pedatella

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La cattiveria è quello stato di bassa energia in cui si vive intrappolati, senza saperlo. Come nel bellissimo capolavoro “La vita è sogno” di Calderon de la Barça, difficile è accorgersene finché la mente razionale non lo comprende. Solo allora, facendo le dovute differenze, si può SCEGLIERE la dimensione della propria vita e liberarsi.

Posted by Le donne più malvagie della storia d’Italia on Mercoledì 22 aprile 2015

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(Testo dedicato alla poetessa Daniela Ferraro, che ha dedicato un brano a Cleto, ripercorrendo l’antica leggenda di Cleta, in un linguaggio ricercato, che si adatta alla materia, simile al mio).

 

Tu, che novella pellegrina a Cleto

vieni a sentire il canto delle rocce

e degli anfratti, che della Regina

ancella intorno spargono il lamento,

 

dai monti risonante infino al mare,

finché gioiosa prole non le molse

il duol per la dogliosa traversata

e la perduta Amazzone Regina,

 

tu or di quella rinnovelli il canto

e a quelli d’oggi onnivori del posto

lo mostri nell’antica sua bellezza.

 

Io della cetra tua le note ascolto,

del ritmo m’inebrio di tue dita

e m’abbandono al suon che l’aure incanta.

 

Cleto, 30 aprile 2014               Franco Pedatella

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Credevo che il lavoro il fondamento

fosse della Repubblica Italiana

e chi distinto avesse il proprio ingegno

 

in quest’impegno, ch’è fondamentale,

del merito e d’onor era insignito

di grande Cavaliere del Lavoro.

 

Invece chi ti trovo in questa lista?

Non chi si è cotto il dorso sotto il sole

solchi a tracciar in campo e mieter messi;

 

non quei che in mezzo al pelago tra le onde

su picciol legno sfida la fortuna

o chi riarsa ha mano in officina;

 

non quei che in miniera e in gallerie

mai vede il sole, l’aria non respira

e adattato ha l’occhio al buio pesto,

 

né mira mai la luna in notte azzurra,

le stelle che tramontan all’aurora,

ché il sol le caccia al cielo e leva il trono

 

e falle impallidire, tenerelle.

È cavaliere Silvio Berlusconi,

Calisto Tanzi in bella compagnia

 

di tutti gli altri che hanno evaso il fisco,

dell’opra altrui sono sfruttatori,

hanno frodato il pubblico e il privato,

 

regole e banche hanno raggirato,

su frode edificato lor fortune,

l’umanità, lo stato han depredato.

 

Ma dico: che guardate, presidenti,

quando vi vien proposto da insignire

un uomo, un nome, un simbol da imitare?

 

Che documenti avete controllato?

Che puntuali indagini eseguito?

Che informazioni assunto, che notizie

 

avete con attento e vigil occhio

raccolto in giro quale garanzia

di quei che ha fatto, fa ed è fatturo?

 

Se simboli han da esser da seguire,

modelli cittadini da emulare,

sian puri, onesti come l’acqua chiara!

 

O come l’aria pura in alta quota,

ove fetór di condizione umana

sgradevole non giunge e non vi ha trono!

 

L’aquila sola, che ha la vista acuta,

può svolazzarvi ed agitar le piume

non tocche da vil fango della terra.

 

Cleto, 20 marzo 2014       Franco Pedatella

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Quand’odo che d’Italia il Presidente

a esporre va i problemi del Paese

al Cancellier tedesco, mi domando

se in vita è ritornato il Sacro Impero

 

Romano di Germania in suol d’Europa.

L’Italia fu il giardin di quell’impero,

vassallo fu feudal di quello Stato

finché l’alpino muro fu indifeso.

 

Poi le vicende del Risorgimento

nazione l’hanno resa indipendente.

Allora capirei, se si dicesse

che il nostro Presidente del Consiglio

 

va nella sede dell’Europa Unita

da pari a dialogar con gli altri membri,

capi di Stato, colleghi di governo,

sul modo di procedere in comune.

 

Nel mondo maggior peso ha l’Europa,

se come membri ha Stati ben dotati

di pari dignità e autonomia,

che agiscono in modo concertato.

 

Cleto, 3 marzo 2014     Franco Pedatella

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                     Il brano è stato ispirato dalla visita che ho fatto oggi al Castello di Cleto. All’idea che mi è tornata in mente all’istante circa gli annunciati interventi che si intendono fare nel Centro Storico, in particolare la costruzione di una strada di accesso alla zona circostante il castello, che non rispetterebbe, a quanto sembra, lo stato dei luoghi, ho immaginato che, proprio a difesa di questi, il simulacro della mitica regina Cleta mi comparisse quasi in religiosa visione e mi si rivelasse con tutte le caratteristiche dell’eroina classica del mondo greco, proponendosi come protettrice dei luoghi e paladina della conservazione del sito archeologico.

 

Oggi me n’ gía bel bello e spensierato

verso il castel, piegato sulla china

che scende a valle ripida tra fiumi,

sol concentrato all’erta che salivo.

 

Giunto all’estremo tratto dello sforzo,

giovin fanciulla mi si para innanzi,

quasi a bloccar l’entrata alla fortezza,

e m’impedisce il passo e il piè mi ferma.

Lunghe ha le chiome sopra il col fluenti,

il collo fine, delicato il braccio,

ma dietro a tal dolcezza ben nasconde

forza viril, proposito indomabile.

 

Non vide mai tra i boschi del Taigeto

capriolo in fuga simil cacciatrice,

che in viso amiche avesse le fattezze

ma ferma man, freccia a scoccar decisa.

 

Seduta su destrier focoso e altero,

al braccio ha l’arco con la freccia pronta

in cocca, teso a ferir chi innanzi

a lei si faccia d’intenzione ostile.

 

Come la vedo in atto sí guerriero,

mi fermo incuriosito e la ispeziono

col guardo nelle forme, in atti e cerco

d’intender l’intenzion, poi pronto chiedo:

 

– Che fai tu qui solinga in solitario

luogo a tua età non uso, a te non atto,

ove periclo v’è di vile assalto

di satiro brutale o d’oste incolto? –

 

Ella mi guata e in me cosí profondo

infigge il guardo e mi trafigge il petto

e in cuor mi legge ogni pensier nascosto

e in me denuda ogni sentimento.

 

Poi mi sorride e l’ esce suon dal labbro

dolce, ma di tenore assai deciso,

e dir la odo, e quasi non ci credo.

– Custoda son di questi luoghi sacri –

 

 

dice, marcando forte quel “custoda”

che in lingua nostra ha genere comune,

mentr’ella vuole in forma femminile

per dir ch’è donna lei che qui protegge.

 

– Il mare ho traversato, la tempesta,

l’ira di Posidon, le stelle assenti,

allor che involge il cielo la tempesta

e scura è l’onda più che buia notte.

 

Perciò la mia figura non t’inganni,

non susciti pensier lontan dal vero!

Virgo ti sembro tenera, ma forte

guerriera son, al ferro e al fuoco avvezza.

 

Qui venni per amor di mia regina,

cui il piè-veloce diede ingiusta morte,

a dare giuste esequie a lei che infante

sul sen portai, nutrii, le diedi motto.

 

Pentesilea io dico, la regina

che donne in pugna prode conducea

sotto le teucre mura, ove gli Atrídi

l’armi portâro ingiuste e fêro strage;

 

Pentesilea, l’Amazzone regina,

che pure a me diè morte con sua morte,

m’infranse il cor, le viscere m’aperse

e mi lasciò da sola e sconsolata.

 

Son Cleta. Qui città costrussi e il nome

le diedi mio e all’altre lo trasmisi

che dopo me regnâr, finché Formione

l’ultima uccise e me trafisse al cuore.

 

Mutaron i nipoti in Petramala

il nome alla città ed il castello

quivi costrusser dove un dí il consulto

di mie sorelle al sole si teneva.

 

Ora qui sono a guardia del maniero,

qual nume tutelare, sentinella

di rocce, grotte, di testimonianze

che ai secoli raccontan lor fabella.

 

Nessuno i luoghi violi o deformi

o li deturpi o strada tracci larga,

che viottolo non sia adatto a carro

da bue paziente tratto o da cavallo!

 

Altro non sia l’intento a chi qui giunge

o quivi è l’arco, pronto a trâr la punta,

s’è d’uopo per difender l’erta e il castro!

Torna nel borgo, annunzia questo editto! –

 

A tal discorso, udito il suon del motto,

saluto con cortese deferenza,

che devesi a regina sí solenne.

Del dir fo cenno che son soddisfatto

 

 

e le sorrido a dir che son convinto.

Le terga poi le volgo e giro il passo

e a valle mi precipito commosso,

per riferir del dire suo il concetto.

 

Cleto, 12 marzo 2014     Franco Pedatella

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Se ai mafiosi un Papa: – Convertitevi! –

dice – ché insanguinate son ricchezze

che possedete e a voi l’han procurate

mani grondanti sangue d’innocenti -,

 

perché non si vergognano i politici

a mantener rapporti con la mafia,

invece di combatterla e in prigione

mandar mafiosi e chi tien lor bordone?

 

Eppur è del potere dello stato,

è proprio del potere temporale

giustizia assicurare in questo mondo.

 

D’altro si cura quello spirituale:

rimettere i peccati, perdonare

la retta via dettar per l’altra vita.

 

Il monito suo lanci la politica,

è l’ora, s’alzi, segga sulla scranna

e detti la sentenza irrevocabile:

muoia la mafia con i suoi tentacoli!

 

Cleto, 22 marzo 2014       Franco Pedatella

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Quale la piovra cui son cento teste

e il pescator ne taglia una e l’ altre

tentan d’avvilupparlo, e il collo e il braccio

gli legano per ingoiar la testa,

 

tale la delinquenza organizzata,

la mafia, o comunque dir si voglia,

a chiunque la denunci o la persegua

cerca di tôr la mano e la parola,

 

terra bruciata far, silenzio imporre,

per far liberamente il male, impune.

Dell’uomo la Giustizia non si stanchi

 

d’imprigionar la mano che assassina

la vita vuol distruggere dei liberi

cui libero atto e motto stanno a cuore.

 

Se umana forza non è sufficiente,

del Ciel si muova il braccio a protezione

della città di Paola, di Orofino,

della Calabria, dell’Italia intera.

 

Nuova di Lerna Idra nell’odierna

palude nuovo Eracle minaccia,

ma serpentine teste saran mozze

ed omicida man rinchiusa in cella.

 

Cleto, 15 marzo 2014       Franco Pedatella

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