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Archive for the ‘Home’ Category

I versi sono stati  ispirati dalla notizia, tragicomicamente ridicola, secondo cui i capi di governo della sviluppatissima, industrializzata e civile Europa sono stati colti da sorpresa perché hanno scoperto, stando alle loro dichiarazioni, di essere stati “spiati” dai Servizi Segreti degli Stati Uniti d’America , Paese amico ed alleato. La notizia, oltre a farmi arrabbiare per la persistente gravità del fatto, ha suscitato la mia pensosa ilarità, mista a irritazione per la manifesta disinvoltura e la patente e penosa ipocrisia con cui questi sedicenti “uomini di stato” ingannano i loro popoli, simulando di non sapere quello che qualche tempo fa persino gente semplice, digiuna di qualsiasi studio storiografico, sapeva: i loro Paesi sono ufficialmente Stati sovrani, ma di fatto Stati a sovranità limitata. Quanto accade, insieme ad altre manifestazioni di violazione della sovranità altrui, ne è la dimostrazione lampante.

 

Che bella sceneggiata i governanti

del mondo sviluppato van facendo:

di fronte ai loro popoli far finta

d’aver scoperto d’essere spiati

 

dal grande Alleato Americano!

E fingon d’adirarsi e sollevare

nel mondo una questione diplomatica!

Noi comunisti sempre abbiam saputo,

 

persin l’estremo iscritto analfabeta,

che al grande capitale è asservita

ogni nazion minor e a questa sorte

anche chi mostra i muscoli è soggetto,

 

pur se s’illude o illude d’esser forte,

ma non ha mezzi a vincere la gara.

Lo sa chiunque governa e con raggiri

spregevoli la sua nazione inganna,

 

fingendo di scoprir la prima volta

ch’essa è colonia, serva al grande impero

che di guardian di libertà s’effigia

e in mar ne mostra al mondo il simulacro.

 

Il mondo sopportare la figura

dovrà del bimbo che passeggia e crede

che in ciel di lui la luna segue il passo,

finché non scopre ch’ella è in ciel per sé.

 

Ben puoi vantarti, Italia, ché non sei

sola a subir la beffa oltre al danno!

Ognun dovrà guardarsi nello specchio

e dir: “ Chi mi governa ognór m’inganna”.

 

Cleto, ottobre 2013                Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

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I versi sono stati ispirati dalla notizia della morte di zio Giovanni Chilelli nella lontana e fredda Torino, diversa per il clima e per l’ambiente umano circostante dalla natìa cara  Amantea e da Pisa, dove aveva vissuto gli anni di lavoro scolastico da direttore didattico con entusiasmo, circondato sempre dall’affetto e dalla stima di maestri, collaboratori, amici e conoscenti, i quali hanno continuato a manifestargli stima ed amicizia anche durante i lunghi anni della pensione.

 

Or che la lingua tace e l’aure sorde

son a qualunque suon lor giunga grato,

vorrei che la tua spoglia riposasse

là dove mano amica un fiore posi

 

per eternar con te, mio caro zio,

il dialogo affettuoso che tenesti

in vita con colleghi, amici e cari

che intorno a te giravan quali a fiore

 

api per trarne il miel che addolcia i giorni.

Pisa, direi, o Amantea assolata

darebbe a te il calore che hai cercato

sempre dentro il cammino di tua vita.

 

Lì  posin ristorate  le tue ossa

cui man pietosa venga quotidiana,

col pianto da lontano della sposa

e il duol segreto ascoso in cuor dei figli,

 

a tener vivo il filo ed il legame

che in mente a chi rimane tienti unito

a quel ch’è vita, amor, franca amicizia,

che sempre rifuggì da infingimenti.

 

Franco Pedatella

Cleto, 26 settembre 2013

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I versi sono stati ispirati dallo spettacolo “Romanzo Mitologico”, recitato per Magna Graecia Teatro Festival Calabria 2013 dagli artisti calabresi Giacomo Battaglia, Gigi Miseferi e Angelica Artemisia Pedatella, nelle vesti, quest’ultima, di Ebe, personificazione della giovinezza, accompagnati dalle musiche (“Divinità”, “Gente di mare” e brani dedicati all’acqua e alla terra) del maestro Sandro Scialpi e dalla voce di Enzo Bruzzese, dal violino di Marco Modica, dalle danze di Samuela Piccolo, dalle coreografie di Antonio Piccolo, dai giochi straordinari delle luci, dovuti all’opera puntuale di  stupendi tecnici, per la regia appassionata di Francesca Grenci. I brani recitati, le musiche ed i ritmi facevano una cosa sola con le danze che li accompagnavano: sembravano riprodurre la melodia di risonanze antiche, talora ancestrali, echi e richiami misteriosi, quasi i canti delle Sirene restituiti dalle onde del mare vicino, cui le movenze delicate della ballerina, assolutamente adagiate sui ritmi della musica, facevano da cornice in un gioco mutevole e ben dosato di luci. È quanto ho visto e ascoltato presso la “Torre Marrana” di Ricadi, dove l’ospitalità del Sindaco ha confermato una delle qualità della Calabria, nel Castello Normanno-Svevo di Vibo Valentia, nel Teatro all’aperto in località “Motta”di Palmi, nel “Parco Archeologico di Capo Colonna” a Crotone. In questa “tappa culturale” tra i siti archeologici della nostra regione immancabile è stato per me l’incontro con il dott. Armando Pagliaro, dirigente regionalepresso l’Assessorato alla Cultura ed ai Beni Culturali, sempre presente in occasioni di tale e tanta importanza.

 

Soffio leggero più si leva e più

vento si fa e tempesta e l’attenzione

sospesa ruba al pubblico presente,

mentre laggiù in fondo alla marina

 

sospira il mare e l’onda sulla riva

sembra col fiato suggerire ai sassi

la storia di nocchieri e di Sirene

che l’acqua da millenni serba e canta.

 

Con tocco magistrale la regista

in scena mette note che dall’onde

i musicistiprendon e con arte

agli strumenti affidanmusicali.

 

Poi il suono cessa, quieta è la tempesta

ed Ebe appare in veste di fanciulla

narrar le storie antiche degli eroi,

le esotiche leggende della  genesi

 

dei mostri che, staccatisi dal buio

delle notturne tenebre, emergenti

diedero forma e corpo a questo mondo

che fe’ di séla storia d’Occidente.

 

Dal mondo greco emersero i Giganti,

i frati lor titanici, le Erinni,

pure i Ciclopi, i Figli della Terra,

mostri con tante teste e cento mani.

 

Quindi il racconto vòlgesi all’Italia

e più precisamente a quella parte

che a Sud il mare Ionio ed il Tirreno

teneramente abbraccian qual sorella.

 

Della Sicilia dico e di Calabria

fin dove dentro al sen più bello al mondo

Partenope, la ninfa, diede il canto

a quella costa ch’oggi ancor lo intona.

 

Al centro la Calabria e le sue storie

dan fiato a Battaglia ed a Miseferi,

che con magistral piglio e comic’arte

di questa terra cantan le leggende

 

da quando il Dio la fe’ felicemente

donandole ogni ben che in mente avéa:

i frutti di natura, i monti, i sassi,

gli uomini, il lor pensier, gli affetti, l’arte.

 

E non poté evitar i guai che addosso,

le pestilenze, povertà, bisogni,

i terremoti, l’analfabetismo,

l’emigrazione e tanti altri ancora,

 

mentr’Ei si abbandonava a dolce sonno,

le diè il Maligno, ma destòssi tosto

e riparò, donandole la forza

di sopportar e superar le angustie,

 

sí ch’ella da cadute si solleva

ed a lottare torna più che prima,

né si rassegna all’avversa sorte

se l’uomo o la natura la ferisce.

 

Qui sento cupi lai, notturni canti

che lamentosi piangono Alarico

e ascolto la leggenda del tesoro

col resepolto tra il Busento e il Crati.

 

Nel fondo del silenzio della notte

odo Sirene raccontar Persefone

rapita dal dio Ade in nero cocchio

mentre coglieva a Vibo il bel narciso

 

che Zeus creato avéa astutamente.

Di Bacco il passo odo che da Oriente

di viteil ramoscello in Puglia reca

e pianta e inebriante vino adduce.

 

Passare vedo Ulisse tra gli scogli

e il canto ingannator delle Sirene

udír ed evitar, da Circe istrutto,

e quelle rovinar pe ‘l gran dispetto.

 

Mi porta il vento dalle mosse canne

la triste storia dell’imperatore

che volle a Lagopésole abitare

e avéa le orecchie d’asinda occultare.

 

L’amore diCristalda ePizzomunno

sul labbro d’Ebe a me com’eco giunge

del canto antico che mi spira il mare,

scrigno fedele di leggende antiche.

 

Di Encelado lo sbuffo Ebe saluta

e l’acqua al sole tersa che l’abbraccia,

l’aria miracolosa nello Stretto

che crea l’illusione della fata

 

Morgana agli occhi che la fissan dritti,

dalla bellezza di quei luoghi attratti.

Dal fondo emerge l’isola Sicilia,

terra divina, sacra agl’immortali,

 

ricca di frutti e miti ed echi antichi

che giungono dall’onde e dalle navi

di viaggiatori che la meta han perso

o cercano dubbiosi la fortuna.

 

E non potéamancar qui la leggenda

dell’Urbe eterna, da fraterna lite

nata sul nome e nelle fondamenta.

Sancì che niuno mai saltato avrebbe

 

impunemente il fosso e la cintura

che di possenti mura la cingeva.

Roma ebbe nome come fortemente

Romolo volle, che primier la resse.

 

Dal mar profondo emersero i due Bronzi

che della Magna Graecia ambasciatori

le guide dei turisti definiscono,

che numerosi qui a vederli vengono.

 

Per l’occasione la turista inglese

sui nomi scherza un po’ comicamente;

ma quelli son due grandi simulacri

di un’arte e civiltà sempre presenti

 

che a noi rimanda il mare con le belle

note musicali e con la danza

che tra le luci, che giocan con le stelle,

il ritmo ripete universale.

 

Ho visto queste cose a Ricadi,

ove ospitalità, ch’è sacra in Grecia,

nel sindaco del luogo è impersonata,

facendomi sentire in terra amica.

 

Le dolci note ancor m’han carezzato

l’orecchio in terra ch’ebbe nome Hipponion

e un castro costruívviFederico.

Le musiche, le voci, i moti in danza

 

vid’io levarsi all’aura di Pitagora,

ove fu venerata in Kroton Hera.

Venni anche a Palmi, ove del Tirreno

ho visto lo spettacolo più bello.

 

Categoria morale il Calabrese

è veramente,come avoce ferma

l’artista dice in scena, se tal cosa

nasce in Calabria, cresce ed alimenta

 

quella virtù che lo distingue in Terra:

genio creativo, animo ospitale;

l’altro sentir fratello nella sorte

cattiva e festeggiar con lui s’è bella.

 

Cleto, 30 agosto 2013              Franco PedatellaBlog: francopedatella.com

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Un grido solo: “Ma, se il tiro c’è,

non entra in porta perché c’è Paché”!

Della Tyllesium era il canto antico

pei giocatori in maglia rossa e gialla.

 

C’eri anche tu tra quelle maglie, Ciccio,

prima di attraversare l’onda scura

a ricercar miglior mestiere altrove

e più proficuo stato per i figli.

 

Oggi il confine della vita varchi.

Risuona intorno l’eco degli amici

che t’ammiravan quando in campo stavi

 

e ti stimavan quando tu operavi

nella vissuta vita quotidiana.

E se di chi ha meriti acquistato

 

rimane in quei che resta la memoria,

il viaggio tuo di là non è solingo,

ché t’accompagnan mille voci amiche

a consolar le spoglie tue d’amore.

Franco Pedatella

Lamezia Terme, 5 ottobre 2013

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Franco Pedatella racconta il banchetto Auser 2013

La raccolta di fondi dell’Auser con la Pasta della Legalità e della SolidarietàIl racconto di Franco Pedatella dedicato al Banchetto della raccolta 18-05-2013

Annualmente l’Auser di Amantea impegna tutti i soci nella raccolta di fondi con la pasta prodotta dalle associazioni della legalità che operano in ambito di strutture espropriate alla mafia. Tali fondi risultano essere determinanti per le attività associative a sostegno degli anziani bisognosi. Anche questo 2013, nei giorni 18 e 19 maggio, in piazza Commercio gli attivisti dell’Auser si sono adoperati per tale nobile obiettivo.
Nella circostanza il socio Franco Pedatella ha scritto un racconto sull’evento.

La breve opera partecipa al concorso nazionale interno dell’AUSER nella sezione narrativa:” Racconta il banchetto“.

I racconti più emozionanti avranno la visibilità che meritano attraverso i canali informativi di Auser: la rivista Auserinforma, il sito www.auser.it, la rete dei social network.

Una spiga di grano racconta.
Io sono una spiga di grano cresciuta su un terreno nel quale è stato seppellito, anzi buttato senza cura o pietà ed interrato, un cadavere, un pover’uomo ammazzato dalla mafia e lì, in quel campo, nascosto perché nessuno mai lo ritrovasse.
Ma il sole, la pioggia, il vento, il bel tempo hanno fatto di un seme portato lì per caso da un passerotto una bella spiga, che sono io. Sono cresciuta proprio su quel povero cadavere abbandonato e mi sono nutrita di sangue innocente. E poi, intorno a me, con il lavoro di giovani mani generose sono nate tante mie sorelle, e siamo cresciute insieme, tutte uguali. Abbiamo fatto una bella grande famiglia, un campo di grano. Pensate: un terreno abbandonato, pieno di sterpaglia, appartenuto ad un mafioso, poi sequestrato, è diventato Libera Terra per giovani volenterosi, e grazie al lavoro di questi un campo fecondo di vita. Non è un miracolo? Che meraviglia!
Oggi sono pasta, e sono qui, su questa splendida piazza di Amantea, “Piazza dell’Emigrante”: questo nome mi ricorda i discorsi che sentivo dai giovani che lavoravano il terreno intorno a me perché io crescessi bella e rigogliosa. Sono qui per sfamare tanta gente povera ed onesta, povera forse perché onesta. E sono felice. Sono nata dalla morte e do la vita: dalla morte alla vita, è proprio quello che voglio fare.
Con me ci sono tanti  chicchi e tante spighe che hanno prodotto la farina per fare questa pasta che viene qui esposta ed offerta grazie all’opera di tante brave persone che si sono organizzate ed hanno dedicato il loro tempo a trasformare le spighe, che come me sono cresciute nelle terre della morte, prima in buona e nutriente farina e poi in pasta. Questa feconderà tanti animi buoni che combatteranno gli uomini del male, sicché non ci saranno più le terre della mafia, ma solo  terre feconde per gli uomini.
È andata proprio bene, perché da stamattina tanti, uomini e donne, felici finalmente di stare insieme, prendono a piene mani la pasta, fatta con la mia farina, da mani generose di anziani, contenti di offrirmi. Inoltre ho il piacere di passare anche per le mani delicate di alcune giovani donne provenienti dall’Europa dell’Est, che si trovano qui ad Amantea ben accolte dai cittadini e dall’Auser, le quali, girando per le strade cittadine e per i negozi, mi offrono a tante persone che passeggiano o sono dentro i negozi. Queste persone mi accolgono nelle loro mani con un sorriso e dai loro discorsi capisco che non tutte abitano ad Amantea, ma alcune vengono dai paesi del circondario. Sono proprio felice, perché così potrò raccontare la mia storia ad un numero sempre più grande di persone e porterò il mio messaggio di solidarietà e di legalità in posti dove non avevo mai immaginato di arrivare.
Amantea, 18 maggio 2013

 

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Il componimento è una breve allegoria dell’Italia dei giorni nostri.

 

Chi prende un remo o l’albero maestro,

chi a bella vela dà di piglio e strappa;

chi la scaletta smonta che sul ponte

porta e recarla in casa qual cimelio

 

di augusta gloria vuole; chi da prora

d’ornato intaglio il rostro seco porta.

Chi col martello sfascia le giunture,

chi con la sega taglia il ponte e il fianco;

 

chi dalle stive infino alla coperta

batte, dischioda e tutto fa tremare.

Ognun la bella nave demolisce,

ognun la scuote e quella par che soffra,

 

sentendosi assaltata da ogni lato,

e par si opponga, ma già fessa cede.

Uno il timone ha torto e nelle secche

la nave drizza a consegnarla all’oste

 

che attende e mostra da lontano l’oro,

che al sol riflette il raggio e disïoso

fa il traditor d’illecito guadagno

e pronto a vil commercio, a furto e dolo.

 

E intanto geme il remator e il mozzo

che il figlio ha sulla nave e la consorte

ed ogni cosa e al legno avéa fidato

fin il respir che in gola or gli si strozza.

 

Così ruinò del Fiorentin la patria,

che l’imo duol cantò e l’alta gloria

ed ai concittadini fe’ da sferza,

ché serva d’altri fêr l’Italia bella.

 

Ahi, come simil è l’Italia d’oggi

a quella in cui regnâro esterni regi,

corrotti e corruttori di sue doti,

che alloro e manto a lei da capo e dosso

 

levâr, lasciando ignude le vergogne

che vuol coprir pudore in donna onesta!

Di tutto or fan commercio i reggitori,

ogni suo bene metton all’incanto

 

e in mano a chi non sa di tal tesoro

buon uso fare, tanto è grosso e inetto,

solo rivolto al tintinnar dell’euro

e sordo ad opra d’arte e d’intelletto.

 

 

Di me che dir? Cantor di patrie ruíne,

tra ceneri fumanti vago e ascolto

se alcun v’è vivo o voce fuor si levi

e spinga alla riscossa ferma e forte

dei giusti, di coloro che han remato

e stracci han perso in mezzo alla tempesta,

coi flutti combattendo e con i venti,

di trar tentando fra ridenti onde

 

la nave che altri han fatto un dí con arte.

Ella ch’io canti vuol questa riscossa,

la sparga e desti le coscienze sane,

degna progenie d’avi al mal mai chini,

 

vivente esempio di onestà e prodezza,

di patrio amor e familiare affetto,

che all’opra intenti eran quotidiana

e muro féan tra i giusti ed i reietti.

 

Qualcuno forse un dí questo mio canto

raccoglierà e col consenso e l’opra

del popolo curar saprà la rotta

nave e portarla nuova in placid’onda.

 

 

Cleto, 5 maggio 2013      Franco Pedatella       Blog: francopedatella.com

 

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(Dedicato al caro amico Franco Morisco nell’approssimarsi dei festeggiamenti che si terranno

il tre di maggio a Paola in onore del santo Protettore della città, San Francesco di Paola)

 

Franco, lo so che adori quel d’Assisi

quale patrono della terra Italia,

ma quel di Paola a lui non è minore

per caritate e umíl gli viene dietro

 

e i suoi seguaci Minimi ha chiamato

rispetto a quei di quel, che fûr Minori,

e gli uni e gli altri forte il verbo fêro

di Santa Madre Chiesa Universale.

 

D’ambo la fama fu sí forte e chiara

che il mondo d’oggi cerca il suo pastore

che a quelli in opre e motti sé assomigli

 

ed or ritiene in quei l’aver trovato

che a Roma Papa si nomò Francesco.

Ei vien da lunge e agli ultimi del mondo

 

parla col viso e il cuor con cui Francesco

volgéasi un tempo a tutte le creature

e frate e suor chiamava per l’Amore

che in lor spirò l’Altissimo Creatore.

 

Cleto, 17 aprile 2013            Franco Pedatella     Blog: francopedatella.com

 

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Un duro e nobil sasso in Santa Croce

attende l’ossa tue che il fuoco arse

ed ha purgato da ogni contingenza

e sacre al patrio altare le ha disposte,

 

ove riposan l’ossa di quei grandi

che al patrio suol diêr merito di stare

esposto al sol che luce eternatrice

sulle vicende umane versa e sparge.

 

Il capo, Rita Levi-Montalcini,

su zolla posa che odoroso un fiore

fecondi di operosa giovinezza.

 

Indichi questo agli uomini del  mondo

la ragion vera e lor dischiuda il cuore

ad operar secondo scienza onesta!

 

Franco Pedatella

 

Cleto, 2 gennaio 2013          Blog: francopedatella.com

 

 

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L’urlo è nemico della riflessione,

l’estremo opposto di argomentazione,

capace sol di muovere gli istinti,

che non conducon l’uomo a buon consiglio

 

ch’è natural compagno alla politica.

Questa assume serie decisioni

con grave soppesare le opinioni

e vero valutar le situazioni

 

che son cangianti oppure durature

perché legate alle persone o ai fatti.

Italia, sento invece nel tuo corpo

urla agitarea te le vene e i polsi,

 

sconce parole a te abbrutir la lingua,

scossoni e moti bruschi a te ferire

le carni delicate a te plasmate

da bella tradizion del tuo passato.

 

Stavi sicura dentro i tuoi confini

sotto romana legge quietamente

tu, bella terra, che nel mar tistendi

dall’Alpe al Canale di Sicilia.

 

La Grecia lo splendor ti avea donato

con templi, lingua, spirto di avventura,

coi bei commerci, vita raffinata,

le prime forme di democrazia.

 

Roma l’architettura degli Etruschi

aveva esteso al piano, monti e valli,

e i riti di quel popolo civile;

pure la forma di governo pria,

 

che ripetéa la prima monarchia,

modello di governo duraturo,

avéa ripreso da quel ceppo umano.

La civiltà italica impregnava

 

di sé la vita scenica dell’Urbe,

sicché potrebbe dirsi con ragione

che la città con merito ed onore

fece di tre culture un sol modello.

 

Ti féan corona le isole che il mare

ti avéa levato intorno in bell’abbraccio,

quasi avamposti per le dolci spiagge,

donde scoprire l’oste e stare all’érta.

 

A nord l’alpestre muro e le sue cime

levate al ciel facevano barriera

a venti, ghiacci, neve e orribil gente

che con mala intenzion venir volesse,

 

fin che scabrose genti e primitive,

da tue cittadi attratte e colti campi

da alberi frugiferi coperti,

quel monte non varcâro e dilagâro

 

 

al pian portando strage e divisione.

Ferîrti al cuor, succhiarono il tuo sangue,

di fertili campagne fêr deserto,

spogliâro i templi, prêser gli ornamenti.

 

Ove regnâr la pace ed il progresso,

guerre portâro e alzarono castelli

da cui recare offese fratricide

o ripararsi da fraterni furti.

 

Fecero di una terra mille regni

l’un contro l’altro in eterna guerra,

ch’ebbe bisogno a volte del sostegno

di altri invasori nuovi e nuovi furti.

 

Ma la tua gente si sentiva figlia

di quella gloria datale da Roma

e ad essa si rifece e l’Umanesimo

creò e l’arte del Rinascimento

 

in splendide città ch’eran risorte

con bei palazzi, monumenti ed are,

con pensatori nuovi in arti e scienze,

con l’opera immortal di letterati.

 

Per riscattar da chi ti avéa divisa

la terra che una fêro i monti e il mare,

facesti poi il Risorgimento

e il pianto a madri, a padri e spose desti.

 

Crüenta Guerra di Liberazione

col sacro sangue partigiano tolse

dal petto a te il germanico calcagno

e fé di te Repubblica Italiana.

 

Ora il tornar di giorni bui io temo,

ché la ragione e l’arte mute veggo,

la sana riflessione dileggiata,

ragione aver chi strepita e più grida.

 

E se poi l’urlo  è pure più volgare

o quel che dice è fuori d’intelletto,

è più gradito a un popolo d’ ignavi

che ormai di sé non ha più cognizione.

 

 

Lévati, Italia, sorgi dal torpore,

nel quale incantatori ti han sopita,

e mostra al mondo la natura vera

onde si forma e cresce la tua gente!

 

Franco Pedatella

Cleto, 9 marzo 2013           Blog: francopedatella.com

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Per “Il silenzio dei vivi” al Teatro Campus Temesa di Amantea.

Il testo viene concepito e scritto in occasione della rappresentazione de “Il silenzio dei vivi” al Teatro Campus Temesa di Amantea e vuole essere un omaggio alla Compagnia Teatrale del regista Giovanni Carpanzano, perché attraverso la trasfigurazione dell’arte ha voluto tener vivo il ricordo della persecuzione nazista contro gli Ebrei, gli oppositori del regime totalitario e i “diversi”, per tenere vigile oggi la coscienza dei contemporanei e delle giovani generazioni a salvaguardia della pace e della libertà ed a scanso di ogni possibile ripetersi di olocausto, qualunque sia la forma sotto la quale si voglia mascherare. Vuole essere, altresì, un ringraziamento al Comune di Amantea, per aver offerto, con il patrocinio ed il sostegno, lo spazio e l’occasione per tale pubblica e corale riflessione e per i risultati che sicuramente ne conseguono sul piano della conoscenza, della presa di coscienza e, quindi, dei comportamenti individuali e collettivi della comunità cittadina e di quella del circondario. Questa circostanza è tanto più importante e significativa in quanto sempre più frequenti ed apparentemente innocui e neutri si verificano, nella società di oggi, episodi di generica intolleranza verso gli altri, considerati “diversi”; detti episodi talora si richiamano pericolosamente ad atteggiamenti di matrice dichiaratamente razzista o vanno connotandosi come tali. L’approdo di tali atteggiamenti, che la storia passata e recente ci ha fatto conoscere, è il totalitarismo, con tutte le conseguenze disastrose per i singoli e per la collettività, che abbiamo già sperimentato.

 

Stasera Campus Temesa è teatro

di grande duol che leva al ciel le grida

di donne che subîro la violenza

sul corpo loro e quel di frati e padri,

 

di fidanzati, sposi, madri e figli

per lo spietato pregiudizio umano

che una razza sopra le altre pone

e donale il diritto di dominio.

 

Per questo il germanico disprezzo

voléasi imporre in nome della razza

a tutto il mondo e chiunque si opponesse

chiudeva in campi di concentramento,

 

e féa macello della carne umana,

bruciava e féane cenere che al vento

spargéasi e niuna traccia rimaneva

di quel che pria fu uomo e non è più.

 

Un sol sentir comune varca il palco

e tocca il cuore e uno fa il respiro

dei tanti spettatori che ad un tempo

sentono il fiato uscir, pulsare il sangue:

 

pietà per quei che fugge o si nasconde

e nulla fé per meritar la morte

se non da chi comanda esser diverso,

e orrór di nuova guerra paventare.

 

Tra rulli e strilli, ordini imperiosi,

batter di tacchi e diktat bestiali,

sbuffi di tradotta, nella notte,

che ratta porta i prigionieri a morte

 

dopo inuman patire e crudi pianti

e sofferir che l’uomo muta in bestia

togliendogli l’onor che nel creato

lo fa individuo di ragion dotato,

 

dei vivi il silenzio è assordante,

pietà per sé reclama e chiede pena

giusta per chi fu causa di dolore,

mentre dal mar risponde nera schiuma

 

 

e al vento chiede di recarne al mondo

gran fama che foriera sia di pace

tra gente nuova, al mal non rotta e sana.

Si leva in coro il popol di Amantea

 

e della terra che le siede intorno

sí che il teatro si trasforma in tempio,

donde si volge al cielo un santo priego:

mai più ripeta il mondo il genocidio!

 

Poi la catarsi il monte al mar congiunge,

tutto raccoglie, esalta in plauso largo

che il palco alla platea unisce e in coro

le lodi canta di Amantea pietosa.

 

Franco Pedatella

Amantea, 27 febbraio 2013

Blog: francopedatella.com

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