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Archive for gennaio 2012

Quello che il popolo non può e non deve mai accettare è l’abolizione, non importa se decisa o programmata, del valore legale del titolo di studio, perché la scuola, in particolare quella pubblica, la conquista del titolo di studio ed il suo valore legale sono stati lo strumento fondamentale del riscatto sociale e civile delle classi popolari.

Attraverso lo studio, duro e serio, i “figli del popolo” hanno “conquistato”, dico conquistato perché di vera e propria conquista si è trattato, la vera pari dignità nei confronti dei “figli di papà” del tempo, che, se svogliati e decadenti, hanno perduto il passo di marcia in avanti, se volenterosi, hanno meritatamente conservato, nella scala economica e sociale, il posto ed il “grado” che loro spettavano, senza alcuna discriminazione.

Questo dico ed affermo io che all’epoca, nell’anno 1960, in un piccolo e laborioso paese della Calabria, in provincia di Cosenza, fui il primo, proveniente dal ceto popolare, ad iscrivermi al Liceo Classico di Cosenza, la scuola dei ricchi, dei “signori” (così veniva chiamata ed era in gran parte), facendo quasi “scandalo” in mezzo al popolo timido e ignorante (ma con la simpatia e l’incoraggiamento della parte più avanzata, progressista ed avveduta degli aristocratici) e ad avere “l’onore” ed il piacere di ricevere, nell’anno 1962, da parte dell’allora Ministro Luigi Gui, una lettera di notifica e le congratulazioni per il superamento del concorso per la concessione di una succosa borsa di studio triennale.

Allora gran parte del popolo del Meridione d’Italia non si rendeva conto del miracolo che stava avvenendo sotto i suoi occhi, ma la portata storica della cosa non sfuggiva all’attenzione sempre vigile dei ceti privilegiati, che allora hanno subito lo scacco.

Ricordo a quanti non lo sanno, ma avrebbero il dovere di saperlo: grandissima fu la resistenza dei ceti privilegiati all’apertura della scuola a tutti, come recita la Costituzione Repubblicana; grandissima fu la loro resistenza quando i Comuni in cui erano al governo le forze democratiche e popolari favorirono la frequenza della scuola pubblica anche da parte dei figli di operai e contadini con l’apertura di scuole anche nelle campagne e perfino con la costruzione di edifici scolastici nelle zone rurali.

Ora è da qualche decennio che quella resistenza conservatrice, opportunisticamente silente ma mai sopita, ha ripreso forza e vigore, direi coraggio, e, non potendo far  tornare indietro la storia (chiudendo la scuola al popolo), la affatica, la fa vivere in affanno, la dequalifica, la svuota di contenuti, ne mina quasi la ragion d’essere, per cancellare poi abbastanza agevolmente ed in maniera, direi quasi, indolore il valore legale del titolo di studio che essa rilascia come ultimo atto della sua funzione e del suo operato; anche perché intanto questa resistenza conservatrice s’è fatta finanziare a proprio uso e consumo dallo Stato, di cui per altri versi nega l’utilità, la scuola privata ed  ha cercato di renderla un po’ più qualificata e presentabile (una volta era il diplomificio degli svogliati e degli incapaci figli di papà in fuga dalla scuola pubblica seria verso scuole facili e compiacenti).

Ora è assolutamente necessario che il popolo si liberi dal lungo torpore a cui l’ha condannato l’abbondante dose di droga berlusconiana (di Berlusconi sia come capo di governo che come proprietario di televisioni private a diffusione nazionale, che hanno terribilmente abbassato la qualità della televisione tradizionale e, di conseguenza, i gusti e la “cultura” del pubblico) e comprenda che questo provvedimento colpisce al cuore ogni suo progetto di riscatto civile e sociale. A meno che questo popolo non voglia farsi raffigurare come colui che, in un momento favorevole regalatogli da padri e nonni saggi, sia soddisfatto di aver messo la cravatta e creda di aver raggiunto per sempre la felicità e poi, non conoscendo la storia degli uomini, faccia tornare indietro, per infingardaggine e colpevole ignoranza, fino ai pantaloni con le toppe e le scarpe rotte, quando non a piedi nudi, i figli ed i nipoti.

Quanto al presidente Monti, egli ha la mia stima personale, perché è persona degna e seria e non fa il Pulcinella dentro e fuori dei confini nazionali.

Ma non capisco che cosa questo provvedimento abbia a che fare con il risanamento e l’emergenza che oggi vive il nostro Paese.

Semmai occorre la restituzione, alla scuola italiana, tutta intera, della sua piena funzione e dignità di istituzione (attenzione, ho detto istituzione, non agenzia, come è purtroppo assai spesso di moda nel linguaggio anche ministeriale di questi tempi) costituzionalmente deputata ed organicamente strutturata per l’istruzione e la formazione.

Si faccia anche piazza pulita di tanta equivoca e malintesa autonomia che, lungi dal valorizzare risorse e storia locali intese all’arricchimento culturale, facendo ricorso spropositato alla pratica dei progetti spesso finalizzati a reperire risorse economiche per la sussistenza della scuola, semplicemente riduce, spezzetta, assottiglia e rende superficiali i contenuti di un sapere unitario nazionale, producendo oggi diseguaglianze nella formazione e nell’istruzione e creando i presupposti e giustificando, in prospettiva, future discriminazioni regionali o locali.

Ovviamente capisco il provvedimento come punto fermo ed occasione di successo di quella volontà di  “rivincita della destra” che ho cercato di descrivere in precedenza.

Ma è per questa ragione che un popolo degno di questo nome non deve accettarlo, anzi, se approvato e convertito in legge, appena possibile, deve cancellarlo.

La scuola pubblica italiana, la foltissima schiera dei maestri e dei professori che ogni giorno, anche in mezzo all’incomprensione generale, anche di fronte ad attività e pratiche demolitorie di  ministri  che hanno remato contro anziché aiutarli e sostenerli nella loro opera quotidiana di lotta contro l’ignoranza e l’arroganza degli ignoranti, fanno il loro dovere di educatori, sono, essi sì, una risorsa preziosa per la rinascita del Paese.

Essi, quindi, si propongano di cambiare questo provvedimento, anche migliorando la qualità del loro lavoro, oserei dire della loro santa missione, perché questo provvedimento, appunto, vanifica ogni loro sforzo e condanna alla marginalità sociale ed economica tanti giovani volenterosi ma privi di mezzi.

Uno stato ricco dell’esperienza di duemila anni di storia, lo Stato della Città del Vaticano, nonostante i suoi macroscopici errori commessi nel corso dei secoli, dovrebbe insegnare qualcosa circa l’opportunità della promozione avveduta delle energie migliori senza discriminazione alcuna, se consente anche al figlio di un umile contadino di arrivare all’apice della piramide e della “carriera” ecclesiastica: parlo di Angelo Roncalli, divenuto Papa Giovanni XXIII.

Non ci vuole molta fantasia per immaginare che cosa succederà in un paese come il nostro, dove già vige tanta “discrezionalità” nel valutare un giovane, che non ha “santi in paradiso”, concorrente ad un posto di lavoro o di responsabilità, se persino un titolo di studio ed un voto, che certificano in modo inoppugnabile un percorso di studi, non varranno più come prova oggettiva ed incontestabile di valore. Il “padrone di turno”, che seleziona ed assume, non avrà più alcun freno alla propria libera “discrezionalità”.

Aiello Calabro, 27 gennaio 2012                                     Franco Pedatella

 

Blog: francopedatella.com

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Il testo è stato concepito dopo aver parlato telefonicamente con mio zio Giovanni Chilelli.

Nel corso della conversazione l’ho informato del fatto che l’AUSER di Amantea per il tre di gennaio appena trascorso ha organizzato nella Chiesa Matrice di Amantea, città natale dello zio, la seconda edizione di canti della tradizione natalizia all’interno della quale si è fatta promotrice dell’incontro di più culture, tra cui era presente anche quella africana tramite la presenza di un gruppo di migranti che oggi si sono stabiliti ad Amantea e che noi, come AUSER, cerchiamo di aiutare ed integrare anche attraverso l’insegnamento volontario della lingua italiana da parte di soci esperti nella disciplina della lingua d’origine e di quella italiana. Nel programma erano previsti due momenti poetici, dei quali uno è stato dedicato alla recitazione di una mia composizione in versi a cura della Presidentessa della FIDAPA di Amantea, Franca Dora Mannarino. Con mia grande meraviglia ed in modo da me veramente inaspettato, alla fine della manifestazione mi è stata consegnata una targa in ceramica, con lavorazione a mano eseguita dall’artista Pedrito Bonavita, autore anche di una scultura inaugurata in Amantea nella Casa delle Culture il 12 marzo 2011 in occasione della celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. La stessa targa è stata consegnata a tutti gli artisti che hanno eseguito i brani musicali della serata, ma io pensavo di aver composto il brano solo a fine riempitivo e di variazione. Ecco perché non mi aspettavo il premio. Quindi mio zio Giovanni, che è direttore didattico in pensione, ha cominciato a dirmi che dai contatti che lui ha con Amantea gli risulta che in questa cittadina mi stimano molto, ma io mi sono schermito un po’ dicendo che ho fatto l’insegnante di liceo solo facendo il mio dovere e che mi diletto a scrivere dei versi, i quali non sono per niente poesia, la quale è un’altra cosa.

 

Caro zietto, or t’invio con questo

un picciol saggio del mio verseggiare.

È sol di fantasia un picciol gesto

che mai non oso definir poetare.

 

Poetar è strugger d’animo in tormento,

che si consuma al fuoco di lucerna

e scava e lima in sé in ogni momento

per trarne fuori fiamma di lanterna,

 

che gli uomini illumini in cammino

o sé consoli se il dolor l’opprime

o, se talor in cuor fa capolino

 

il riso, goda. L’arte al tutto imprime

la forma che a quel corpo si modella

meglio sί che all’uomo al ben favella.

 

Cleto, 5 gennaio 2012                 Franco Pedatella

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Il testo è stato composto in occasione della serata che trascorriamo nella Chiesa Matrice di Amantea dedicata a San Biagio per festeggiare la Seconda Rassegna di Canti e Suoni della Tradizione Natalizia, organizzata dall’AUSER di Amantea. L’amico Tonino Perricone mi ha cortesemente sollecitato a comporre per l’occasione un brano poetico che richiamasse i valori autentici del Natale, concretamente rappresentati anche dalle presenze pluriculturali, provenienti da diverse parti della Calabria e dal mondo dell’immigrazione. La fraterna amicizia del prof. Perricone  e le parole con cui mi ha presentato l’evento  sono state di stimolo per il volo della mia fantasia.

 

 

Sotto le arcate ampie di san Biagio

per festeggiar Natale in modo degno

son convenuti da ogni parte adagio

a consegnar d’amore il loro pegno.

 

Canti, non vil denaro, bei sorrisi

portano al bambinel che rappresenta

il mondo in cui son variegati i visi

e l’anima di ognuno all’altro è attenta.

 

Di pace è atmosfera e fratellanza:

coi Càlabri latini è l’Albanese,

gli zampognari il latte e sua fragranza

hanno lasciato al monte con le spose,

 

mentre la neve fiocca sopra i tetti

e i bimbi stanno accanto al focolare

ad aspettar che mamma lor li alletti

al sonno con le fiabe di Natale.

 

Che suono di zampogne, che armonia

da quelle canne vien con soffio e cuore!

Ai bimbi echeggia come litania

che induce il sonno, il pensier dolce e amore.

 

Dalla ventosa Lago qui i cantori

ci portan tradizioni e lor folclori

dai luoghi ove un dί sbocciâr gli amori

tra ninfe e adoni nei silvani cori.

 

Ma superati or son pagani riti

e ninfe e adoni or son Madonne e Santi.

Perciò da bocche loro odo usciti

suoni cristiani e religiosi canti.

 

Con clarinetti e banda musicale

si fa sentir la scuola che a Mameli

è intitolata e in questo dì speciale

intona marce che van su nei cieli.

 

Da Falconara il Gruppo Haréa ci porta

la melodia arbёreshё originale,

che in cielo il cuore candido trasporta

con canti, assolo e musica corale,

 

qual si conviene in questo giorno santo,

in cui tacere devono i contrasti,

come succede in Terra, ahimè, ogni tanto

quando dimentichiamo i dì nefasti.

 

Si tendono le braccia con calore,

le mani incrocian mani di fratelli

che non han pelle più di un sol colore,

come ci volle il Padre e siam più belli.

 

L’Africa manda le sue vibrazioni,

da terra che ha nel cuore il ballo e il canto;

con gli strumenti a corda e percussione

trasmette un’esistenza dolorante

 

di un corpo nato a stare in armonia

con il creato e il ritmo delle cose,

prima che le mandasse in avaria

colui che tutto a sé piegar pretese.

 

Sono i migranti che senza le stelle,

in una notte buia un mare oscuro

attraversâro, privo di fiammelle

che a porto li guidassero sicuro.

 

L’Africa canta “Bimbo, mio tesoro”

e il suon n’echeggia sotto nostre arcate

sì che l’Occidentale è frate al Moro

dentro lo spazio di queste navate,

 

donde si leva al cielo un canto solo

dal Coro della Chiesa di San Biagio,

il qual da Oriente il piè qui pose al suolo

perché qui ogn’uom sia frate e a proprio agio.

 

Quest’inno manda tutti in visibilio

con l’armonia che fa trasecolare;

ognun si sente in cuor d’altrui  ausilio,

pronto a donarsi all’altro e ad amare.

 

Dopo a rifocillar le lingue stanche

e braccia e gambe dal danzar  spossate,

“grispelle” e “monacelle” sulle panche

vorràn con vino essere gustate.

 

 

Saranno il segno di quest’alleanza

che al mondo lega poveri e diversi,

perché non sia trincea la differenza

tra uomini mai più l’un l’altro avversi.

 

Franco Pedatella

 

Amantea, Chiesa Matrice, 3 gennaio 2012

 

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