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Alto tradimento è la parola

da anni attesa a definir reati

contro la pubblica amministrazione

da parte di persone che han giurato

 

di essere fedeli allo Stato.

Or finalmente in bocca a un presidente

questa espressione odo e gli domando

di esser finalmente conseguente:

 

vi sia la pena e il codice adeguato

a chi ha commesso simile reato,

e insegni stil di vita e d’ operare

 

a chi detien mandato popolare

o sia dipendente dello Stato.

Pena maggior al general sia data

 

di quella  che al soldato è comminata.

 

Cleto, 6 giugno 2014        Franco Pedatella

Se un papa: “I comunisti ci han rubato

la bandïera ch’era del Vangelo”

dice “perché della cristiana fede

è proprio star vicino ai maltrattati”,

 

allor, compagni, a che aspettiamo ancora

a issarla ben visibil sul veliero

e per le coste per il mondo intero

mostrarla a quel che soffre ignudo e ha fame

 

ed è tornato schiavo da quel giorno

che voi quella bandiera sotterraste

perch’ un di sangue uman l’avèa macchiata?

Ella dell’uom ostende l’avvenire,

 

il duol contiene di generazioni

che prone sotto frusta di padroni

gîro.  Per lei poi presero coscienza

d’essere serve non per voglia arcana

 

ma per iniqua legge da cambiare,

stringendosi fratelli in una lotta

per un progetto solo di riscatto

che degno faccia l’uom del suo destino,

 

come a fattor suo piace o a natura.

Se avvertimento vien da sí alto soglio,

a noi riman da pulpito minore

coglierlo e del suo dire far tesoro.

 

Roma, luglio 2014           Franco Pedatella

(Il brano viene scritto in occasione del massacro di alcuni bambini palestinesi da parte delle truppe israeliane che operano nella Striscia di Gaza)

 

Quando il cannone tuona e rugge Marte,

io mi domando: “A che l’uom sulla Terra?

A strugger il fratèl, sgozzar gl’infanti?

Tagliar la propria pianta alle radici?”.

 

Indi dogliosa al cuore la risposta

mi suona ed un pensier mi torna triste,

che questo fa non cavalier solingo,

che vagabondo va di selva in selva

 

ed ogni ombra o moto a sé ostil vede

e tratta ogni uom che incontra qual nemico,

perché l’errar già l’empie di spavento

che il petto ed il pensier gl’invade e adombra,

 

ma il capo di uno stato organizzato,

che freddamente lungi dalla pugna,

a tradimento e con vile intento,

programma il massacro di fanciulli,

 

mentre innocenti fanno i loro giochi

o vanno a scuola ad imparar la vita

che a lor si nega pria che a lor sorrida

e sparga il suo profumo come il fiore.

 

Cleto, 17 luglio 2014              Franco Pedatella

Nando Aloisio

Quegli che a noi le vie primiero aperse

di società di liberi ed eguali,

dando parola al fabbro e al contadino,

 

che pria toccava solo al titolato

solo talor del popolo sollecito,

l’onde del mar varcò vèr l’Argentina
e volle lí portar testimonianza

di belle lotte qui condotte e vinte

con spirto di fratello e di compagno.

 

Lí fu soggetto a vil persecuzione,

perché a chi il potere iniquo imporre

volèa, deciso, il passo contrastava

 

a  protezion dei deboli ed oppressi,

con il coraggio pronto di chi in croce

con consapevolezza si fa mettere.

 

Subí la dittatura e la violenza

che lo costrinser a cambiare il luogo

dove dormir la notte ed evitare

 

d’esser trovato morto la mattina,

come diceva la minaccia all’I.N.C.A.,

da nota ignota mano devastato,

 

che impaurir tentava chi assistenza

dava ogni giorno ai lavoratori.

Nando era sopra anche alla paura!

 

Ei seppe con altrui perfin le scarpe

dividere, quand’altro era scalzo,

e in casa un dí a piè nudo se ne venne,

 

dicendo: ”Ma’, Guidoccio alla montagna

dovéa tornar con acqua, neve e vento!

Per una settimana io sto in casa,

 

finch’egli mi riporta quelle scarpe”.

Di lui mi narra questa storia ed altre

ogni angolo, ogni sasso del paese.

 

Era cosí Nanduzzo: mano tesa,

sorriso pronto, cuore al ben disposto,

parola ad aiutar chi avéa bisogno,

 

volto intelletto all’equo, al giusto, al retto.

A chi la via del socialismo volle

percorrer fu maestro che si pone

 

al lato del discepol, non dinanzi,

per non sembrar colui ch’ ha il passo innanzi.

Ma anche a chi con animo sincero

 

volle altre vie seguir, e non con colpa,

fu guida amabil  e di stima segno.

Aiello il suo ricordo porta in petto.

 

Cleto, 25 luglio 2014                  Franco Pedatella

Temesa vola

Il testo è una visione ispirata dal primo di una serie d’incontri programmati, tenutosi presso il Municipio di Cleto tra alcuni sindaci del Comuni vicini, a nord e a sud del Fiume Savuto, il dott. Gregorio Aversa, Responsabile Territoriale della Sovrintendenza ai Beni Archeologici della Calabria, l’Associazione Culturale Cletarte di Cleto ed il Gruppo Archeologico Alybas di Serra d’Aiello, per concordare un’azione coordinata per la realizzazione di un progetto comune finalizzato alla scoperta e valorizzazione dei beni culturali del territorio.

 

Temesa vola, al vento ha l’ali aperto,

da picciol nido il becco in alto drizza

ov’aura pura porta allo scoperto

e mostrane le doti, ogni ricchezza,

 

che i secoli e i millenni avéan coperto

dell’ombra dell’oblío per darle intatte

ai figli suoi moderni che in concerto,

riuniti qui, tra lor le mani han strette

 

ed han giurato di ridar la luce

al patrimonio sotto i piedi ascoso,

dove il Savuto l’acque al mare adduce,

l’Oliva l’onda versa in mar pescoso,

 

il Catocastro apre al mar bel porto,

più a nord  un dí Francesco il ciel mirava,

mentre da sud Maria l’uomo in torto

che gía a Conflenti in priego perdonava.

 

Quivi la terra al sole si distende,

tra i monti e il mar l’olivo e l’uva accoglie

e in mezzo ai fiumi rigogliose tende

le membra, fin che il verno non le spoglia.

 

Tra mura antiche e campi e spighe bionde

lo sguardo volgo e veggo dalle torri

competer Greci in mare con grandi onde

e in mezzo ai flutti spinger come carri

 

ornate prore, mentre d’alti monti

segnal di guerra aduna eroi armati

d’asce, di falci, spade con tridenti,

che accorron, parte in ordine schierati,

 

parte qual gregge o massa uguale a ciurma,

u’ fischio primigenio chiama e attira

ove più forte è il fuoco della pugna

tra il colle e il piano u’ batte l’onda e spira.

 

Qui su cavallo bianco un cavaliero

s’avanza in campo e tien gladio affilato.

Di tavole di leggi è messaggero

candido magistrato a lui di lato.

 

Di fronte a lor nocchier canuto viene

che reca in mano grande pergamena.

L’un dona a l’altro insegna che in man tiene

e ognun diventa quel che pria non era.

 

Ora son tre in uno sí che una

fanno la volontà, fanno uno il fine,

la forza del pensare fanno una,

una dell’operar fan l’intenzione.

 

In batter d’occhi il tintinnar dell’armi,

lo scalpitare di cavalli in corsa

e di guerrieri in schiera e genti in ciurma

tacquer qual grido in gola che si smorza.

 

Nel luogo, ov’oggi sono convenuti,

i figli suoi voglion riscoprire

l’urbe che vi fondâro gli antenati

e darle l’ali al volo nel futuro,

 

e quel che sotto il sole all’occhio splende

a quel ch’è trapassato collegare,

per rivelar qual oro è quel che tende

in man donzella e il luogo sviluppare.

 

Temesa i’ fu, trifronte cittadina,

cu’ i popoli fondanti fama diêro

nel mar lontano e in terra qui vicina,

ovunque l’uomo e il dio lor sede fêro.

 

Territorio dell’antica Temesa, 21 agosto 4014

Franco Pedatella

E giugno torna e fa ogni anno nuovo

il dí che venne al sol l’Amore mio

e quello le sorrise col suo raggio

e lei col labbro e l’occhio ricambiò.

 

S’amplificò la luce sotto il cielo.

In ogni direzion le particelle

d’aria animate d’energia ignota

si sparser da per tutto come piume,

 

cui soffio ratto e forte imprime volo

vers’orlo circolar che le respinge

al centro a mo’ di vortice scherzoso.

 

Gocce di luce andavano per l’aria

e il moto un suon creava, un’ armonia

di note di natura e voci umane.

 

Auguri!

 

 

Cleto, 11 giugno 2014        Franco Pedatella

 

 

(Testo dedicato alla poetessa Daniela Ferraro, che ha dedicato un brano a Cleto, ripercorrendo l’antica leggenda di Cleta, in un linguaggio ricercato, che si adatta alla materia, simile al mio).

 

Tu, che novella pellegrina a Cleto

vieni a sentire il canto delle rocce

e degli anfratti, che della Regina

ancella intorno spargono il lamento,

 

dai monti risonante infino al mare,

finché gioiosa prole non le molse

il duol per la dogliosa traversata

e la perduta Amazzone Regina,

 

tu or di quella rinnovelli il canto

e a quelli d’oggi onnivori del posto

lo mostri nell’antica sua bellezza.

 

Io della cetra tua le note ascolto,

del ritmo m’inebrio di tue dita

e m’abbandono al suon che l’aure incanta.

 

Cleto, 30 aprile 2014               Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

 

 

Credevo che il lavoro il fondamento

fosse della Repubblica Italiana

e chi distinto avesse il proprio ingegno

 

in quest’impegno, ch’è fondamentale,

del merito e d’onor era insignito

di grande Cavaliere del Lavoro.

 

Invece chi ti trovo in questa lista?

Non chi si è cotto il dorso sotto il sole

solchi a tracciar in campo e mieter messi;

 

non quei che in mezzo al pelago tra le onde

su picciol legno sfida la fortuna

o chi riarsa ha mano in officina;

 

non quei che in miniera e in gallerie

mai vede il sole, l’aria non respira

e adattato ha l’occhio al buio pesto,

 

né mira mai la luna in notte azzurra,

le stelle che tramontan all’aurora,

ché il sol le caccia al cielo e leva il trono

 

e falle impallidire, tenerelle.

È cavaliere Silvio Berlusconi,

Calisto Tanzi in bella compagnia

 

di tutti gli altri che hanno evaso il fisco,

dell’opra altrui sono sfruttatori,

hanno frodato il pubblico e il privato,

 

regole e banche hanno raggirato,

su frode edificato lor fortune,

l’umanità, lo stato han depredato.

 

Ma dico: che guardate, presidenti,

quando vi vien proposto da insignire

un uomo, un nome, un simbol da imitare?

 

Che documenti avete controllato?

Che puntuali indagini eseguito?

Che informazioni assunto, che notizie

 

avete con attento e vigil occhio

raccolto in giro quale garanzia

di quei che ha fatto, fa ed è fatturo?

 

Se simboli han da esser da seguire,

modelli cittadini da emulare,

sian puri, onesti come l’acqua chiara!

 

O come l’aria pura in alta quota,

ove fetór di condizione umana

sgradevole non giunge e non vi ha trono!

 

L’aquila sola, che ha la vista acuta,

può svolazzarvi ed agitar le piume

non tocche da vil fango della terra.

 

Cleto, 20 marzo 2014       Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

Quand’odo che d’Italia il Presidente

a esporre va i problemi del Paese

al Cancellier tedesco, mi domando

se in vita è ritornato il Sacro Impero

 

Romano di Germania in suol d’Europa.

L’Italia fu il giardin di quell’impero,

vassallo fu feudal di quello Stato

finché l’alpino muro fu indifeso.

 

Poi le vicende del Risorgimento

nazione l’hanno resa indipendente.

Allora capirei, se si dicesse

che il nostro Presidente del Consiglio

 

va nella sede dell’Europa Unita

da pari a dialogar con gli altri membri,

capi di Stato, colleghi di governo,

sul modo di procedere in comune.

 

Nel mondo maggior peso ha l’Europa,

se come membri ha Stati ben dotati

di pari dignità e autonomia,

che agiscono in modo concertato.

 

Cleto, 3 marzo 2014     Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

                     Il brano è stato ispirato dalla visita che ho fatto oggi al Castello di Cleto. All’idea che mi è tornata in mente all’istante circa gli annunciati interventi che si intendono fare nel Centro Storico, in particolare la costruzione di una strada di accesso alla zona circostante il castello, che non rispetterebbe, a quanto sembra, lo stato dei luoghi, ho immaginato che, proprio a difesa di questi, il simulacro della mitica regina Cleta mi comparisse quasi in religiosa visione e mi si rivelasse con tutte le caratteristiche dell’eroina classica del mondo greco, proponendosi come protettrice dei luoghi e paladina della conservazione del sito archeologico.

 

Oggi me n’ gía bel bello e spensierato

verso il castel, piegato sulla china

che scende a valle ripida tra fiumi,

sol concentrato all’erta che salivo.

 

Giunto all’estremo tratto dello sforzo,

giovin fanciulla mi si para innanzi,

quasi a bloccar l’entrata alla fortezza,

e m’impedisce il passo e il piè mi ferma.

Lunghe ha le chiome sopra il col fluenti,

il collo fine, delicato il braccio,

ma dietro a tal dolcezza ben nasconde

forza viril, proposito indomabile.

 

Non vide mai tra i boschi del Taigeto

capriolo in fuga simil cacciatrice,

che in viso amiche avesse le fattezze

ma ferma man, freccia a scoccar decisa.

 

Seduta su destrier focoso e altero,

al braccio ha l’arco con la freccia pronta

in cocca, teso a ferir chi innanzi

a lei si faccia d’intenzione ostile.

 

Come la vedo in atto sí guerriero,

mi fermo incuriosito e la ispeziono

col guardo nelle forme, in atti e cerco

d’intender l’intenzion, poi pronto chiedo:

 

– Che fai tu qui solinga in solitario

luogo a tua età non uso, a te non atto,

ove periclo v’è di vile assalto

di satiro brutale o d’oste incolto? –

 

Ella mi guata e in me cosí profondo

infigge il guardo e mi trafigge il petto

e in cuor mi legge ogni pensier nascosto

e in me denuda ogni sentimento.

 

Poi mi sorride e l’ esce suon dal labbro

dolce, ma di tenore assai deciso,

e dir la odo, e quasi non ci credo.

– Custoda son di questi luoghi sacri –

 

 

dice, marcando forte quel “custoda”

che in lingua nostra ha genere comune,

mentr’ella vuole in forma femminile

per dir ch’è donna lei che qui protegge.

 

– Il mare ho traversato, la tempesta,

l’ira di Posidon, le stelle assenti,

allor che involge il cielo la tempesta

e scura è l’onda più che buia notte.

 

Perciò la mia figura non t’inganni,

non susciti pensier lontan dal vero!

Virgo ti sembro tenera, ma forte

guerriera son, al ferro e al fuoco avvezza.

 

Qui venni per amor di mia regina,

cui il piè-veloce diede ingiusta morte,

a dare giuste esequie a lei che infante

sul sen portai, nutrii, le diedi motto.

 

Pentesilea io dico, la regina

che donne in pugna prode conducea

sotto le teucre mura, ove gli Atrídi

l’armi portâro ingiuste e fêro strage;

 

Pentesilea, l’Amazzone regina,

che pure a me diè morte con sua morte,

m’infranse il cor, le viscere m’aperse

e mi lasciò da sola e sconsolata.

 

Son Cleta. Qui città costrussi e il nome

le diedi mio e all’altre lo trasmisi

che dopo me regnâr, finché Formione

l’ultima uccise e me trafisse al cuore.

 

Mutaron i nipoti in Petramala

il nome alla città ed il castello

quivi costrusser dove un dí il consulto

di mie sorelle al sole si teneva.

 

Ora qui sono a guardia del maniero,

qual nume tutelare, sentinella

di rocce, grotte, di testimonianze

che ai secoli raccontan lor fabella.

 

Nessuno i luoghi violi o deformi

o li deturpi o strada tracci larga,

che viottolo non sia adatto a carro

da bue paziente tratto o da cavallo!

 

Altro non sia l’intento a chi qui giunge

o quivi è l’arco, pronto a trâr la punta,

s’è d’uopo per difender l’erta e il castro!

Torna nel borgo, annunzia questo editto! –

 

A tal discorso, udito il suon del motto,

saluto con cortese deferenza,

che devesi a regina sí solenne.

Del dir fo cenno che son soddisfatto

 

 

e le sorrido a dir che son convinto.

Le terga poi le volgo e giro il passo

e a valle mi precipito commosso,

per riferir del dire suo il concetto.

 

Cleto, 12 marzo 2014     Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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