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Archive for the ‘Immagini in Poesia’ Category

La bella Italia, dama di gran gala,

un giorno ereditò tante province

dalla dea Roma, che le avéa create

per reggere un impero sterminato.

 

Gioielli ne avéa fatto la gran dama,

le avéa portate in picciol territorio,

il suo, ch’è somigliante allo stivale

che in mare che l’abbraccia si distende.

 

Era felice di mostrare al mondo

le sue province, chiuse in uno scrigno

come diamanti: portano in corona

meravigliosi stemmi dei Comuni,

 

di gloriose Repubbliche sul mare

fornite di galee per merci e guerre,

che con il sangue di lor figli prodi

la storia hanno scritto dell’Italia.

 

Tante città, d’autonomia bandiere,

hanno trovato il modo, nella storia,

di ritrovarsi in piena comunione

d’intenti e volontà particolari

 

e di diversi han fatto un solo Stato

che nome ha Repubblica Italiana.

Han le province a capo un Presidente

eletto ed un Prefetto  nominato:

 

il popolar potere rappresenta

l’uno, l’altro il potere del Governo.

E se d’entrambi il bene dello Stato,

ch’è fatto dall’insiem dei cittadini,

 

è volontà comun nell’operare,

del vivere civil ei son baluardi.

Son le province gli Enti più vicini

sopra il Comune per il cittadino,

 

che ad esse si rivolge se ha bisogno,

quando non ha in Comune chi lo ascolti;

ed è per lui il Prefetto emanazione

diretta dello Stato, se giustizia

 

domanda, e il Presidente gli è garante

del vivere civil con scuole e strade,

difende il suolo, veglia sull’ambiente,

è cuor battente di atti produttivi,

 

turistici, sociali e culturali

e d’altro in area ch’è di competenza.

Or come gran signora in decadenza

disfarti vuoi di questi bei gioielli,

 

perché non puoi curarli come devi

né puoi lustrarli sí che ancor sian belli?

Oh Italia, puoi negare la tua storia,

tenere i soldi in note tasche ascosi

 

e non utilizzarli a mantenere

le tue province, che son gli ornamenti

avuti in dono dalla Madre Roma

come trofei preziosi di famiglia?

 

o come fori doviziosi ed ampi

o atrii maestosi e adorni d’arte,

che menti creative e mani esperte

pensâro e  poi il progetto fecer atto?

 

Pensa, mia bella Italia, pria di andare

a svendere al mercato i tuoi ornamenti,

se proprio non hai in cassa il denaro

per renderli più belli e trarne vanto!

 

Pensa s’è ben ridurti a mendicare

e tendere la man limosinante,

il riso suscitando o la pietate

di quei che ti fûr servi o corteggianti!

 

Roma, 7 luglio 2013        Franco Pedatella

 

Blog: francopedatella.com

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Lèvasi alla mattina il contadino

che al far dell’alba all’orizzonte vede

spuntare il sol e illuminargli il viso

e forza dargli in corpo che non cede.

 

Vanga la terra a che lauta fecondi

e agli uomini, alle piante, agli animali

felicità coi frutti ognór secondi,

e nettare ed ambrosia agl’ immortali.

 

Questo lo fa signor dell’universo,

quando delle belanti il latte beve

o col paziente bove il suol riverso

 

rende, perché la zolla, che riceve

il seme, in sé lo stringa e fiore terso

lo faccia e vita renda che riceve.

 

Franco Pedatella

Cleto, 23 novembre 3013

 

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Un papa tra la gente è quel che il mondo,

ch’è senza moral guida, s’aspettava,

perché con la parola e con l’esempio

mostrasse di giustizia la via retta.

 

Le sue parole, i gesti lineari

parlano dritti al cuore della gente

e, mentre disdegnoso d’ogni fasto

il protocollo vaticano ignora,

 

s’insinüa paterno nella mente

e la conquista, l’odon pure i sordi,

convince i riottosi, scioglie i dubbi

 

ed i malvagi addita, fère, piega.

La forza che ha è la bontà di spirito,

che si traduce in un linguaggio semplice.

 

Ai semplici la lingua costruisce.

 

Franco Pedatella

Roma, 13 novembre 2013

Blog: francopedatella.com

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Parte dal Municipio la sfilata

tra gonfaloni e fasce tricolori

delle comunità del circondario,

che in festa son presenti ad Amantea

 

a tributar l’onore a questo evento,

cui diè l’Imperator di Spagna inizio

cinquecent’anni or sono con decreto

istitutivo di regal volere.

 

A tutte viene dietro Amantea

col gonfalone suo e con le guardie,

che seguon quelle di altri Centri urbani

così come convien per cortesia.

 

Di festa è l’aria, i bar di gente pieni

paiono con gli odori giorni belli

aprire pria che il sol coi raggi suoi

illumini le prime bancarelle.

 

Mentre il corteo traversa strade e piazze,

empie le vie il rullo dei tamburi

e la città s’affaccia alle finestre

o sopra  i marciapiedi sosta e guarda

 

i figuranti involti nelle vesti

tradizionali, ricche di colori,

che in casse conservate avean bramato

esporsi al sol che col suo raggio esalta

 

le tinte e ne ravviva gli orli e i punti.

Tra gli altri, quelli spiccano di Cleto,

che a tre fanciulle di Amantea uniti,

coi bei colori delle popolane,

 

rubano un raggio al sol e di riverbero

lo spargono di ardor moltiplicato.

È accanto a lor lo sposo tillesiano

che al passo del leon rampante avanza:

 

cilindro in testa, frac, bastone in mano,

il papillon, solenne portamento

ne fan l’esempio di eleganza in moto,

che soddisfatta incede  in sé raccolta.

 

 

Di Guardia Piemontese brillan gli ori

in mezzo ai costumi dei paesi

che guardan da millenni questo mare,

mentre dal centro avanza il gonfalone

 

della città natale di Telesio:

Cosenza, di provincia capoluogo,

che vuol con questo gesto dimostrare

la grande rilevanza dell’evento.

 

La cerimonia a Piazza del Commercio

l’apice tocca dello svolgimento:

è l’atto del passaggio dei poteri

sopra la fiera al Mastrogiurato,

 

con un cerimoniale che ripete

gesti, costumi e riti  di una volta.

I visi in alto volti verso il palco

ascoltan le parole rituali,

 

ma in tutti leggo che segreto vola

al sindaco il pensier, che più non è.

A Piazza Cappuccini sono al centro

dell’attenzione gli sbandieratori.

 

Squilli di trombe e rullo di tamburi

danno il segnal di moto alle bandiere.

S’intreccian queste, volan, fan tutt’uno

con braccia e gambe. Una  il cielo sfiora

 

e s’accavallan  tutte e fan castello

coi corpi snelli e i guizzi ratti in alto

di Bisignano gli sbandieratori.

In fine poi tra scoppi e scie di luci

 

muraglia fanno ai fuochi d’artificio

tra sguardi aneli e applausi scroscianti

del numeroso pubblico presente,

cui in petto il cuore esulta per la gioia.

 

Come ogni salmo poi finisce in gloria,

cosí la festa a Piazza Calavecchia

si chiude con un piatto di spaghetti

con la mollica, sí vuol tradizione,

 

e un buon bicchier di vino paesano,

che dal barile mani generose

agli ospiti lïetamente versano

e la serata aspergono di gioia.

 

Domani il cioccolato, caramelle,

dolci, sapori, odori fian padroni

a gole, nasi, orecchi, mani ed occhi

in brulichío di gente nelle strade.

 

Che dir se il bimbo al padre tira il braccio

o della mamma cerca l’attenzione

per indicar la palla o il “buccunottu”

che soddisfare può la sua giornata?

 

L’adulto non sarà da tanti gusti

esente, ché anche a lui la merce piace,

sia che alla gola è grata o agli occhi o al tatto.

Cosí fa festa tutta la famiglia.

 

A organizzare tutta la vicenda

eletto figlio hai, Amantea:

con “Il Coviello” il professore Sciandra

di tutto cura la scenografia.

 

Amantea, 27 ottobre 2013         Franco Pedatella

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Lo studio delle stelle t’ha elevata

a loro altezza nell’umana fama

e i tuoi pensieri e modi ha plasmato

al rigore dei moti universali

 

cosí ch’autorità in mezzo agli uomini

negli atti e nel pensier divenne il nome

di Margherita Hack, la studïosa

degli astri e della legge che li regola.

 

La vita or ti s’è spenta in un tramonto

di quella stella che più d’altre scalda

la Terra e poi a sera l’abbandona,

 

come fai tu che orfana la lasci

di tal pensier, nell’Infinito entrando,

cui laiche dedicasti riflessioni.

 

L’asteroide che lí ti è dedicato

continuerà perenne ad orbitare

e, volteggiando tra compagni augello,

ad eternare il nome tuo nel mondo.

 

Roma, 29 giugno 2013     Franco Pedatella

 

Blog: francopedatella.com

 

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I versi sono stati  ispirati dalla notizia, tragicomicamente ridicola, secondo cui i capi di governo della sviluppatissima, industrializzata e civile Europa sono stati colti da sorpresa perché hanno scoperto, stando alle loro dichiarazioni, di essere stati “spiati” dai Servizi Segreti degli Stati Uniti d’America , Paese amico ed alleato. La notizia, oltre a farmi arrabbiare per la persistente gravità del fatto, ha suscitato la mia pensosa ilarità, mista a irritazione per la manifesta disinvoltura e la patente e penosa ipocrisia con cui questi sedicenti “uomini di stato” ingannano i loro popoli, simulando di non sapere quello che qualche tempo fa persino gente semplice, digiuna di qualsiasi studio storiografico, sapeva: i loro Paesi sono ufficialmente Stati sovrani, ma di fatto Stati a sovranità limitata. Quanto accade, insieme ad altre manifestazioni di violazione della sovranità altrui, ne è la dimostrazione lampante.

 

Che bella sceneggiata i governanti

del mondo sviluppato van facendo:

di fronte ai loro popoli far finta

d’aver scoperto d’essere spiati

 

dal grande Alleato Americano!

E fingon d’adirarsi e sollevare

nel mondo una questione diplomatica!

Noi comunisti sempre abbiam saputo,

 

persin l’estremo iscritto analfabeta,

che al grande capitale è asservita

ogni nazion minor e a questa sorte

anche chi mostra i muscoli è soggetto,

 

pur se s’illude o illude d’esser forte,

ma non ha mezzi a vincere la gara.

Lo sa chiunque governa e con raggiri

spregevoli la sua nazione inganna,

 

fingendo di scoprir la prima volta

ch’essa è colonia, serva al grande impero

che di guardian di libertà s’effigia

e in mar ne mostra al mondo il simulacro.

 

Il mondo sopportare la figura

dovrà del bimbo che passeggia e crede

che in ciel di lui la luna segue il passo,

finché non scopre ch’ella è in ciel per sé.

 

Ben puoi vantarti, Italia, ché non sei

sola a subir la beffa oltre al danno!

Ognun dovrà guardarsi nello specchio

e dir: “ Chi mi governa ognór m’inganna”.

 

Cleto, ottobre 2013                Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

 

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I versi sono stati ispirati dalla notizia della morte di zio Giovanni Chilelli nella lontana e fredda Torino, diversa per il clima e per l’ambiente umano circostante dalla natìa cara  Amantea e da Pisa, dove aveva vissuto gli anni di lavoro scolastico da direttore didattico con entusiasmo, circondato sempre dall’affetto e dalla stima di maestri, collaboratori, amici e conoscenti, i quali hanno continuato a manifestargli stima ed amicizia anche durante i lunghi anni della pensione.

 

Or che la lingua tace e l’aure sorde

son a qualunque suon lor giunga grato,

vorrei che la tua spoglia riposasse

là dove mano amica un fiore posi

 

per eternar con te, mio caro zio,

il dialogo affettuoso che tenesti

in vita con colleghi, amici e cari

che intorno a te giravan quali a fiore

 

api per trarne il miel che addolcia i giorni.

Pisa, direi, o Amantea assolata

darebbe a te il calore che hai cercato

sempre dentro il cammino di tua vita.

 

Lì  posin ristorate  le tue ossa

cui man pietosa venga quotidiana,

col pianto da lontano della sposa

e il duol segreto ascoso in cuor dei figli,

 

a tener vivo il filo ed il legame

che in mente a chi rimane tienti unito

a quel ch’è vita, amor, franca amicizia,

che sempre rifuggì da infingimenti.

 

Franco Pedatella

Cleto, 26 settembre 2013

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I versi sono stati ispirati dallo spettacolo “Romanzo Mitologico”, recitato per Magna Graecia Teatro Festival Calabria 2013 dagli artisti calabresi Giacomo Battaglia, Gigi Miseferi e Angelica Artemisia Pedatella, nelle vesti, quest’ultima, di Ebe, personificazione della giovinezza, accompagnati dalle musiche (“Divinità”, “Gente di mare” e brani dedicati all’acqua e alla terra) del maestro Sandro Scialpi e dalla voce di Enzo Bruzzese, dal violino di Marco Modica, dalle danze di Samuela Piccolo, dalle coreografie di Antonio Piccolo, dai giochi straordinari delle luci, dovuti all’opera puntuale di  stupendi tecnici, per la regia appassionata di Francesca Grenci. I brani recitati, le musiche ed i ritmi facevano una cosa sola con le danze che li accompagnavano: sembravano riprodurre la melodia di risonanze antiche, talora ancestrali, echi e richiami misteriosi, quasi i canti delle Sirene restituiti dalle onde del mare vicino, cui le movenze delicate della ballerina, assolutamente adagiate sui ritmi della musica, facevano da cornice in un gioco mutevole e ben dosato di luci. È quanto ho visto e ascoltato presso la “Torre Marrana” di Ricadi, dove l’ospitalità del Sindaco ha confermato una delle qualità della Calabria, nel Castello Normanno-Svevo di Vibo Valentia, nel Teatro all’aperto in località “Motta”di Palmi, nel “Parco Archeologico di Capo Colonna” a Crotone. In questa “tappa culturale” tra i siti archeologici della nostra regione immancabile è stato per me l’incontro con il dott. Armando Pagliaro, dirigente regionalepresso l’Assessorato alla Cultura ed ai Beni Culturali, sempre presente in occasioni di tale e tanta importanza.

 

Soffio leggero più si leva e più

vento si fa e tempesta e l’attenzione

sospesa ruba al pubblico presente,

mentre laggiù in fondo alla marina

 

sospira il mare e l’onda sulla riva

sembra col fiato suggerire ai sassi

la storia di nocchieri e di Sirene

che l’acqua da millenni serba e canta.

 

Con tocco magistrale la regista

in scena mette note che dall’onde

i musicistiprendon e con arte

agli strumenti affidanmusicali.

 

Poi il suono cessa, quieta è la tempesta

ed Ebe appare in veste di fanciulla

narrar le storie antiche degli eroi,

le esotiche leggende della  genesi

 

dei mostri che, staccatisi dal buio

delle notturne tenebre, emergenti

diedero forma e corpo a questo mondo

che fe’ di séla storia d’Occidente.

 

Dal mondo greco emersero i Giganti,

i frati lor titanici, le Erinni,

pure i Ciclopi, i Figli della Terra,

mostri con tante teste e cento mani.

 

Quindi il racconto vòlgesi all’Italia

e più precisamente a quella parte

che a Sud il mare Ionio ed il Tirreno

teneramente abbraccian qual sorella.

 

Della Sicilia dico e di Calabria

fin dove dentro al sen più bello al mondo

Partenope, la ninfa, diede il canto

a quella costa ch’oggi ancor lo intona.

 

Al centro la Calabria e le sue storie

dan fiato a Battaglia ed a Miseferi,

che con magistral piglio e comic’arte

di questa terra cantan le leggende

 

da quando il Dio la fe’ felicemente

donandole ogni ben che in mente avéa:

i frutti di natura, i monti, i sassi,

gli uomini, il lor pensier, gli affetti, l’arte.

 

E non poté evitar i guai che addosso,

le pestilenze, povertà, bisogni,

i terremoti, l’analfabetismo,

l’emigrazione e tanti altri ancora,

 

mentr’Ei si abbandonava a dolce sonno,

le diè il Maligno, ma destòssi tosto

e riparò, donandole la forza

di sopportar e superar le angustie,

 

sí ch’ella da cadute si solleva

ed a lottare torna più che prima,

né si rassegna all’avversa sorte

se l’uomo o la natura la ferisce.

 

Qui sento cupi lai, notturni canti

che lamentosi piangono Alarico

e ascolto la leggenda del tesoro

col resepolto tra il Busento e il Crati.

 

Nel fondo del silenzio della notte

odo Sirene raccontar Persefone

rapita dal dio Ade in nero cocchio

mentre coglieva a Vibo il bel narciso

 

che Zeus creato avéa astutamente.

Di Bacco il passo odo che da Oriente

di viteil ramoscello in Puglia reca

e pianta e inebriante vino adduce.

 

Passare vedo Ulisse tra gli scogli

e il canto ingannator delle Sirene

udír ed evitar, da Circe istrutto,

e quelle rovinar pe ‘l gran dispetto.

 

Mi porta il vento dalle mosse canne

la triste storia dell’imperatore

che volle a Lagopésole abitare

e avéa le orecchie d’asinda occultare.

 

L’amore diCristalda ePizzomunno

sul labbro d’Ebe a me com’eco giunge

del canto antico che mi spira il mare,

scrigno fedele di leggende antiche.

 

Di Encelado lo sbuffo Ebe saluta

e l’acqua al sole tersa che l’abbraccia,

l’aria miracolosa nello Stretto

che crea l’illusione della fata

 

Morgana agli occhi che la fissan dritti,

dalla bellezza di quei luoghi attratti.

Dal fondo emerge l’isola Sicilia,

terra divina, sacra agl’immortali,

 

ricca di frutti e miti ed echi antichi

che giungono dall’onde e dalle navi

di viaggiatori che la meta han perso

o cercano dubbiosi la fortuna.

 

E non potéamancar qui la leggenda

dell’Urbe eterna, da fraterna lite

nata sul nome e nelle fondamenta.

Sancì che niuno mai saltato avrebbe

 

impunemente il fosso e la cintura

che di possenti mura la cingeva.

Roma ebbe nome come fortemente

Romolo volle, che primier la resse.

 

Dal mar profondo emersero i due Bronzi

che della Magna Graecia ambasciatori

le guide dei turisti definiscono,

che numerosi qui a vederli vengono.

 

Per l’occasione la turista inglese

sui nomi scherza un po’ comicamente;

ma quelli son due grandi simulacri

di un’arte e civiltà sempre presenti

 

che a noi rimanda il mare con le belle

note musicali e con la danza

che tra le luci, che giocan con le stelle,

il ritmo ripete universale.

 

Ho visto queste cose a Ricadi,

ove ospitalità, ch’è sacra in Grecia,

nel sindaco del luogo è impersonata,

facendomi sentire in terra amica.

 

Le dolci note ancor m’han carezzato

l’orecchio in terra ch’ebbe nome Hipponion

e un castro costruívviFederico.

Le musiche, le voci, i moti in danza

 

vid’io levarsi all’aura di Pitagora,

ove fu venerata in Kroton Hera.

Venni anche a Palmi, ove del Tirreno

ho visto lo spettacolo più bello.

 

Categoria morale il Calabrese

è veramente,come avoce ferma

l’artista dice in scena, se tal cosa

nasce in Calabria, cresce ed alimenta

 

quella virtù che lo distingue in Terra:

genio creativo, animo ospitale;

l’altro sentir fratello nella sorte

cattiva e festeggiar con lui s’è bella.

 

Cleto, 30 agosto 2013              Franco PedatellaBlog: francopedatella.com

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Un grido solo: “Ma, se il tiro c’è,

non entra in porta perché c’è Paché”!

Della Tyllesium era il canto antico

pei giocatori in maglia rossa e gialla.

 

C’eri anche tu tra quelle maglie, Ciccio,

prima di attraversare l’onda scura

a ricercar miglior mestiere altrove

e più proficuo stato per i figli.

 

Oggi il confine della vita varchi.

Risuona intorno l’eco degli amici

che t’ammiravan quando in campo stavi

 

e ti stimavan quando tu operavi

nella vissuta vita quotidiana.

E se di chi ha meriti acquistato

 

rimane in quei che resta la memoria,

il viaggio tuo di là non è solingo,

ché t’accompagnan mille voci amiche

a consolar le spoglie tue d’amore.

Franco Pedatella

Lamezia Terme, 5 ottobre 2013

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Il componimento è una breve allegoria dell’Italia dei giorni nostri.

 

Chi prende un remo o l’albero maestro,

chi a bella vela dà di piglio e strappa;

chi la scaletta smonta che sul ponte

porta e recarla in casa qual cimelio

 

di augusta gloria vuole; chi da prora

d’ornato intaglio il rostro seco porta.

Chi col martello sfascia le giunture,

chi con la sega taglia il ponte e il fianco;

 

chi dalle stive infino alla coperta

batte, dischioda e tutto fa tremare.

Ognun la bella nave demolisce,

ognun la scuote e quella par che soffra,

 

sentendosi assaltata da ogni lato,

e par si opponga, ma già fessa cede.

Uno il timone ha torto e nelle secche

la nave drizza a consegnarla all’oste

 

che attende e mostra da lontano l’oro,

che al sol riflette il raggio e disïoso

fa il traditor d’illecito guadagno

e pronto a vil commercio, a furto e dolo.

 

E intanto geme il remator e il mozzo

che il figlio ha sulla nave e la consorte

ed ogni cosa e al legno avéa fidato

fin il respir che in gola or gli si strozza.

 

Così ruinò del Fiorentin la patria,

che l’imo duol cantò e l’alta gloria

ed ai concittadini fe’ da sferza,

ché serva d’altri fêr l’Italia bella.

 

Ahi, come simil è l’Italia d’oggi

a quella in cui regnâro esterni regi,

corrotti e corruttori di sue doti,

che alloro e manto a lei da capo e dosso

 

levâr, lasciando ignude le vergogne

che vuol coprir pudore in donna onesta!

Di tutto or fan commercio i reggitori,

ogni suo bene metton all’incanto

 

e in mano a chi non sa di tal tesoro

buon uso fare, tanto è grosso e inetto,

solo rivolto al tintinnar dell’euro

e sordo ad opra d’arte e d’intelletto.

 

 

Di me che dir? Cantor di patrie ruíne,

tra ceneri fumanti vago e ascolto

se alcun v’è vivo o voce fuor si levi

e spinga alla riscossa ferma e forte

dei giusti, di coloro che han remato

e stracci han perso in mezzo alla tempesta,

coi flutti combattendo e con i venti,

di trar tentando fra ridenti onde

 

la nave che altri han fatto un dí con arte.

Ella ch’io canti vuol questa riscossa,

la sparga e desti le coscienze sane,

degna progenie d’avi al mal mai chini,

 

vivente esempio di onestà e prodezza,

di patrio amor e familiare affetto,

che all’opra intenti eran quotidiana

e muro féan tra i giusti ed i reietti.

 

Qualcuno forse un dí questo mio canto

raccoglierà e col consenso e l’opra

del popolo curar saprà la rotta

nave e portarla nuova in placid’onda.

 

 

Cleto, 5 maggio 2013      Franco Pedatella       Blog: francopedatella.com

 

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