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Archive for aprile 2016

 

L’appello che faccio ai miei amici e compagni, ai miei concittadini e corregionali è quello di andare a votare domenica 17 aprile e di votare SI per fermare i danni già provocati dalle trivelle alla nostra martoriata terra e salvare il futuro di tutti. La sconfitta del SI, o comunque la sconfitta del referendum, sarebbe un regalo alle Compagnie Petrolifere, che sarebbero autorizzate a continuare ad estrarre quel poco che estraggono, che non ha nessuna rilevanza economica ai fini della copertura del fabbisogno energetico dell’Italia né dell’occupazione di lavoratori e farebbe invece risparmiare ai petrolieri le spese per lo smantellamento delle piattaforme. Oltre a questo, a quanti sottovalutano i rischi di eventuali disastri, provocati dal cattivo funzionamento degli impianti, voglio ricordare i danni delle centrali nucleari che erano state presentate come macchine perfette, come quella di Fukushima in Giappone, e il disastro ambientale della piattaforma petrolifera nel 2010 nel Golfo del Messico. Solo queste poche parole dovrebbero bastare a far capire quanto è importante votare SI, perché questo voto va nella difesa degli interessi della gente, dei cittadini. Ricordiamoci anche che il nostro mare è un mare chiuso fra terre, per questo lo chiamiamo Mediterraneo, e quindi le conseguenze di eventuali danni non si disperderebbero nell’Oceano ma si concentrerebbero nelle nostre acque e sulle nostre coste. Il nostro destino è nelle nostre mani. Votiamo SI per difendere la nostra vita e quella delle generazioni future!

Franco Pedatella

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Il testo è stato concepito a seguito dell’invito rivoltomi dal giornalista, nonché ex alunno ed amico, Paolo Orofino  a scrivere qualcosa sullo scioglimento del Consiglio Comunale di Cleto e le dimissioni del Sindaco. Gli ho risposto che avrei dovuto aspettare che la Musa mi facesse visita e mi ispirasse. Poi questo è accaduto dopo qualche giorno: sul far del giorno la bella Musa mi è comparsa e mi ha parlato. Quindi il testo, dopo essere stato composto, ha atteso un po’ di tempo in computer prima di essere pubblicato, perché ho voluto limarne e perfezionarne i suoni e le rime, per quanto ho saputo fare. Penso, infatti, che sia ottima abitudine quella di “… nonam edere post hiemem …”, cioè pubblicare solo  dopo un lungo lavoro di rifinitura, come dicevano i Latini.

 

Nell’ora che i sogni veritieri

son e ogni imago sotto i veli appare

più chiara e chiara parla ai miei pensieri,

agli occhi miei la regina appare,

 

cosí come in boscaglia al cacciatore

fanciulla snella e fiera si presenta,

che ucciso ha un animale predatore

e i muscoli la corsa non le allenta.

 

Ha l’arco in spalla, in pugno la saetta,

negli occhi un lampo, in fronte il sol fulgente;

e, mentre ferma il passo, un po’ s’assetta,

per presentarsi in atto conveniente.

 

Poi si rivolge a me con dir tonante,

che rende del suo cuore l’apprensione

sí che ad un fine solo non mutante

tendono il corpo e l’alma l’espressione:

 

“ Spiegami tu, che d’altra terra vieni,

ove fiorisce il gelso e l’artigiano

ovra e intelletto è fine e non ha freni:

perché la gente mia di vita vano

 

ha il corso, sí che mai non giunge al mezzo

quel che ha previsto per la settimana,

ma dell’impresa compie solo un pezzo

e lascia alla mercé d’acqua piovana

 

il resto, che l’ingordo mar travolge?

L’invidia l’opra intrapresa segna,

poiché l’un l’occhio all’altro bieco volge

e lite in paese eterna regna.

 

Gli animi tutti l’alterigia incera

e al peggio ogni buon pensiero move

sí che nel mio palazzo spesso impera

estraneo reggitor che ha il cuore altrove.

 

Contrasti di vedute tengon campo

piú che badare al ben comune insieme,

sí che discordia scoppia come un lampo

e squarcia in ciel le nuvole serene.

 

Dimmi di queste cose la ragione

cosí che un poco in petto rassereno

l’animo che sobbalza in apprensione

e do riposo ad ogni pena in seno!

 

Tali non fûro i figli miei passati,

che uniti in campo sempre si battêro

di fronte un tempo ai forti Crotoniati

ed ampia di coraggio prova diêro.

 

Una la forza, una volontate

per la difesa del suol patrio fu;

ognuno allontanò ogni viltate

e mise in petto ogni sua virtú.

 

Di quelli la più forza poi da sezzo

piegò il coraggio, impose a noi saggezza:

fu’ io che ne pagai il maggior prezzo,

ma i miei ai figli diêro la salvezza.

 

Queste vicende esempio in avvenire

siano a chi s’appresta a governare,

ché dopo il verno viene primavera

e il frutto appronta all’uom d’ assaporare.

 

A chi le sacre penne vestir vuole

d’aver giustizia a cuor si raccomanda,

ché quel che in corpo e in animo si duole

guarda con speme verso chi comanda.

 

 

Respira, opra e rema in sola barca

chi va benigno in mare periglioso,

e pesca ed in comune mette in arca

come Noè in diluvio rovinoso.

 

Non segga al posto mio chi dispennare

pensa l’uccello sacro del potere,

che al popolo si volge per guidare

la terra ov’olio e vino si può bere.

 

 

Forse era meglio fosse femminile

la trasmissione del potere antico:

tenevo al seno il popolo qual prole

ed il potere al popolo era amico”.

 

Quinci si volge e a me le belle terga

mostra né udire vuol la mia risposta,

ché la sua voce e il tono sa che alberga

ferma opinion e in cuor l’è ben riposta.

 

Indi scompare sí com’era apparsa,

lasciando me in gran dubbio e in afasía

e dietro a sé d’ambrosia in aere sparsa,

qual si conviene a dea, lunga scìa.

 

Cleto, 16 aprile 2015             Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

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